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Elly Schlein, notte da incubo: tutto pronto per il party, poi cancella il volo...

Pietro Senaldi
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Aveva il piede sulla scaletta dell’aereo, Elly Schlein. La segretaria era stata contattata dal partito ligure a seggi ancora aperti, nella mattinata di lunedì, per prendere il volo del tardo pomeriggio e festeggiare la riconquista della Regione in una notte di libagioni. Poi la prima proiezione di voto, e la seconda, e la terza, con Marco Bucci sempre in vantaggio, ancorché di misura, hanno messo in allerta la segretaria: non si parte per festeggiare una possibile sconfitta. Mi hanno rimasto solo (quei quattro cornuti; per completezza di citazione). L’Orlando, più amareggiato che furioso, deve essersi sentito un po’ come Vittorio Gassman nella celebre scena finale de “L’audace colpo dei soliti ignoti”, abbandonato dai complici in fuga. Le cose, il quattro volte ministro dem, le ha dette chiaramente: «Ho fatto da cavia. Senza unità tra i partiti corri con un peso. Eravamo coesi solo sul territorio». Traduzione: mi hanno fatto candidare controvoglia per vedere se l’esperimento del campo largo aveva le gambe, dopo di che a Roma il partito non è riuscito a tenere insieme la coalizione e io in Liguria ho fatto un mezzo miracolo rimediando alle lacune della dirigenza.

La segretaria ha provato a esiliarlo in provincia senza occuparsene troppo perché, se lui avesse vinto, lei si sarebbe appuntata una medaglia e tolta un problema, se avesse perso, sarebbe stata la certificazione dell’inadeguatezza di un uomo d’apparato che non si è mai confrontato con l’elettorato e l’unica volta che l’ha fatto è stato sconfitto. Orlando non ci sta. Sarebbe talmente disgustato dal proprio partito a Roma, da considerare seriamente di restare in Liguria per guidare l’opposizione per i prossimi cinque anni e preparare le Comunali di Genova della primavera 2025. Sui titoli dei giornali la stampa progressista celebra il trionfo del Pd, nel consueto tentativo di truccare da vittoria una sconfitta. Il 28,47% raccolto dalla lista dem a prima vista fa impressione; ma il dato va analizzato, e non solo perché i 160mila che hanno votato Pd domenica sono pure sempre quattromila in meno di coloro che lo scelsero alle Europee. La realtà è che Elly Schlein, a questo giro, ha (ri)perso, sia all’interno del partito sia come capo dell’opposizione. Il Pd porterà in Consiglio Regionale otto eletti, ma solo uno le è ascrivibile, a voler largheggiare.

 


Dei quattro che salgono da Genova, i primi tre per preferenze ottenute sono dem di vecchia scuola o ascrivibili al partito dei sindaci, quelli che in un modo o nell’altro hanno collaborato, e bene, con la maggioranza di Giovanni Toti in Regione. A spaccare il dato nei loro feudi, si intravedono anche tracce di voto disgiunto, al Pd come lista ma a Bucci come presidente. Il quarto è il segretario cittadino, mentre il fedelissimo di Elly, Luca Garibaldi, è quinto e fuori dal Consiglio. Non è diversa la musica nelle altre province: a Imperia e Savona sono eletti due bonacciniani, mentre lo spezzino Davide Natale è naturalmente espressione di Andrea Orlando. Quando, il 18 luglio, l’intero establishment della sinistra forcaiola si radunò in piazza De Ferrari, a Genova, per chiedere le dimissioni di Toti, la sinistra aveva dieci punti di vantaggio sul centrodestra, ridotti a sette allorché Marco Bucci decise di scendere in campo, a settembre inoltrato. Comunque un’enormità, dilapidata in poco più di un mese. Responsabilità di Elly, per quattro ragioni. La prima è stata la scelta di cedere al ricatto di Giuseppe Conte. Dopo che Orlando aveva trovato un accordo con Italia Viva, per metterne in lista gli uomini senza il simbolo del partito, la segretaria si è piegata al leader di M5S, che ha minacciato il ritiro dal campo largo se i renziani non fossero stati cacciati. Questo ha chiarito all’elettorato progressista moderato che Orlando non sarebbe mai stato il loro presidente, perché frenato dai “no” grillini.


Tant’è che Bucci ha iniziato a dichiarare che i centristi votavano per lui. Secondo errore è stato pensare che Azione potesse colmare il vuoto lasciato da Matteo Renzi. Carlo Calenda, fermo sotto il 2% e senza eletti in Consiglio, è il grande sconfitto, con M5S, della partita. L’elettorato ligure, e probabilmente anche quello nazionale, non lo vede come l’uomo capace di garantire la componente centrista dei progressisti. Terzo errore è stato convincersi che il calo - atteso - dei votanti, favorisse Orlando perché l’elettorato di centrodestra è più pigro nel recarsi al seggio. Con numeri così bassi, conta chi sa scaldare i cuori. Pd e Schlein hanno provato con il richiamo della foresta, chiamando a casale persone per farle andare al voto e con una campagna aggressiva e demonizzatrice dell’avversario, molto appesa alle manette e all’inchiesta Toti. Il risultato è stato compattare il fronte di Bucci, che ha più capacità di fare squadra, e rendere plastiche le divisioni della sinistra, che non ha fatto che disfare la tela di Orlando.

Quarto errore è stato trattare la Liguria come l’ultima ruota del carro, ultima dietro Emilia-Romagna e Umbria nei pensieri di Elly, sacrificabile alle ubbie di Conte, alla testardaggine di Calenda, all’incapacità di esercitare una leadership coniugata a una mancata investitura forte dell’aspirante, che è stato scaricato da Schlein in Regione più che candidato. Era tutto già previsto, canterebbe Riccardo Cocciante. L’unica cosa che la segretaria non ha previsto è che adesso le sue capacità di visione e comando sono in discussione. Non accadrà nulla a breve, ma certo un’eventuale affermazione in Emilia-Romagna non basterà a cancellare un filotto di passi falsi. E qualcuno glielo farà notare anche perché, nell’impossibilità di riconvertire il Pd a partito a vocazione maggioritaria e vincente, chi guida deve saper scegliere gli alleati giusti e riuscire poi a governarli. Quello che la segretaria non ha ancora dimostrato di saper fare.

 

 

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