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Dossieraggio, "fammene un'altra": il dettaglio emerso dalle intercettazioni

Michele Zaccardi
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 «... pronto il report?» «Esatto... va beh... fammene un’altra nel frattempo! Ignazio La Russa». È il 19 maggio 2023. Enrico Pazzali è nel suo ufficio di via Pattari 6, a due passi dal Duomo di Milano, dove ha sede la società Equalize. Chiede a Samuele Calamucci e al tecnico informatico Samuele Abbadessa di fare una nuova ricerca, stavolta sul Presidente del Senato. «Del ‘53! No, ha settantacinque anni lui, ha... vai giù... 18 luglio... esatto», dice il presidente della Fondazione Fiere Milano, ora indagato, cercando la data di nascita corretta per evitare omonimie. Ma non si accontenta. Vuole altre informazioni riservate. E allarga la ricerca anche al primogenito di La Russa, Geronimo, avvocato e presidente dell’Automobile club Milan.

«E metti anche un altro se c’è... come si chiama l’altro figlio? Geronimo... come si chiama Geronimo... Lui è dell’80... vediamo...». Abbadessa inizia a cercare le informazioni insieme a Pazzali nello Sdi, la banca dati interforze del ministero dell’Interno a cui avevano accesso illegalmente. «Fammi vedere un po’... allora c’abbiamo Ignazio La Russa, che continua a venire... esce arancione (il colore indica la situazione dei pregressi giudiziari del soggetto, ndr)».

Ma nelle carte del pm di Milano, Francesco De Tommasi, non compare soltanto La Russa (che si dice «stupito» dalla vicenda). Nelle intercettazioni effettuate dagli investigatori spunta pure il nome di Sergio Mattarella. «Noi l’abbiamo spedita a venti persone, più tre mail, una mail intestata a Mattarella, con nome e cognome che se vanno a vedere l’account è intestato al Presidente della Repubblica» dice Samuele Calamucci a Carmine Gallo, l’ex super poliziotto, ora in pensione, entrambi agli arresti domiciliari da venerdì.

 

 

 

Una conversazione che il pm De Tommasi definisce «inquietante». Calamucci e Gallo, scrive il magistrato, «lasciano intendere di aver intercettato (...) un indirizzo email assegnato» al Capo dello Stato «o comunque di essere riusciti (...) a utilizzare abusivamente o a clonare il predetto account». Insomma, basta leggere alcune delle intercettazioni contenute nel fascicolo di De Tommasi per rendersi conto che l’inchiesta sui dossieraggi che la Procura di Milano sta portando avanti va a lambire pure i vertici della Repubblica, che sono finiti nel mirino del gruppo composto da agenti delle forze dell’ordine, ex poliziotti con un passato illustre come Gallo, hacker e manager.

In tutto, gli indagati sono oltre sessanta, mentre quattro sono finiti ai domiciliari. L’organizzazione, che ruota attorno all’agenzia di investigazioni di proprietà di Pazzali, e gestita da Gallo, Equalize, e che ha venduto dati riservati realizzando in due anni profitti per 2,3 milioni di euro, ha passato al setaccio conti correnti, situazioni patrimoniali e fiscali, precedenti penali (solo le violazioni dello Sdi sono 800mila) e persino le condizioni sanitarie di tantissime persone, soprattutto politici, vip, imprenditori e giornalisti. Non è un caso dunque che il pm De Tommasi scriva nei suoi atti di indagine che «non è esagerato affermare che si tratta di soggetti che rappresentano un pericolo per la democrazia di questo Paese».

 

 

 

Il magistrato parla di «soggetti pericolosissimi, perché, attraverso le attività di dossieraggio abusivo» con «la creazione di vere e proprie banche dati parallele vietate e con la circolazione indiscriminata di notizie informazioni sensibili, riservate e segrete, sono in grado di “tenere in pugno” cittadini e istituzioni» e «condizionare» dinamiche «imprenditoriali e procedure pubbliche, anche giudiziarie». In una conversazione del 30 settembre 2022, Calamucci dice a Cornelli «tutta Italia inculiamo», poco dopo essersi vantato che, orientando le notizie giornalistiche, «possiamo sputtanare tutta l’Italia». «Attraverso il sistema di dossieraggio illecito da lui congegnato» scrive il pm, «il loro gruppo è in grado di “tenere in mano” il Paese». «Si tratta» aggiunge, «di un intento che non è esagerato definire eversivo».
Ma c’è dell’altro, che apre a scenari preoccupanti. Perché una parte di quei dati sensibili carpiti in modo fraudolento potrebbe essere finita all’estero.

Senza contare che una «circostanza di una certa gravità», scrive la Procura, è la «presenza» in una chiavetta usb di dell’hacker Calamucci «di dati che apparentemente, ad una prima analisi, risultano classificati». Ovvero secretati, come un documento del 2008-2009 «formalmente riconducibile all’Aise», il servizio segreto italiano per l’estero, classificato «riservato» e relativo alle «reti del Jihad globale». Ma l’inchiesta non si è conclusa con le misure cautelari e le perquisizioni di tre giorni fa.

La Dda, assieme alla Dna, effettuerà anche approfondimenti sulla presunta vendita di dati e informazioni all’estero. La banda, sottolineano i magistrati, aveva del resto rapporti a tutto campo, dalla criminalità organizzata ai servizi segreti anche di Paesi stranieri. Intanto, martedì l’ufficio di presidenza della commissione Antimafia deciderà se acquisire gli atti dell’inchiesta.

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