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L'incubo dem: "Grillo può sabotare la coalizione"

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Elisa Calessi
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Mai intromettersi nei travagli altrui, è la prima cosa che si dice, in queste ore, nel Pd di fronte allo scontro finale tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo. «Abbiamo già tanti problemi noi...». Fatta questa premessa, ovviamente al Nazareno si è seguito con attenzione- e apprensione- la disfida finale che si sta consumando nelle stanze del loro alleato. Sarebbe un problema sempre. Lo diventa ancora di più per due motivi: i tempi, dal momento che avviene alla vigilia di un voto, e il luogo, il voto in questione è in Liguria. Si dà il caso, infatti, che Grillo sia proprio di Genova.

La domanda che attraversa i dem in queste ore è quale sia il peso del fondatore del M5s, in rotta di collisione con il presidente del Movimento, in Liguria e, dunque, se e quanto questo scontro possa pesare negativamente sui voti ad Andrea Orlando. Si aggiunge un altro fattore preoccupante: uno dei candidati alle elezioni liguri è Nicola Morra, ex cinquestelle, espulso quando nacque il governo Draghi, a cui non volle dare il proprio voto. Morra, come tutti i fuoriusciti, è certamente più vicino a Grillo che non a Conte. Unendo i puntini di questa storia, il rischio è evidente: se il fondatore, irritato per l’annuncio che il suo contratto non verrà rinnovato, volesse fargliela pagare all’attuale leader del M5s potrebbe cogliere l’occasione del voto in Liguria per farsi sentire, non votando (e non facendo votare) il M5s, alleato con il Pd, e magari votando Morra. È vero, si aggiunge nel Pd nel tentativo di vedere il bicchiere mezzo pieno, che Grillo, ormai, non ha tutto questo seguito elettorale. Da troppo tempo è lontano dalla politica, si disinteressa del M5s, non ha tanti seguaci.

 



Ma è pur vero, osservano i più pessimisti, che Genova è la sua città, non un posto qualunque. Qualche amico in più che segua le sue indicazioni, almeno a casa sua, ce lo avrà. E potrebbe bastare una manciata di voti per far del male a quel campo largo (ma senza Renzi) che ieri, nella chiusura della campagna elettorale a Genova, è stata immortalato in una foto: Elly Schlein, Conte, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni (Avs), Enzo Maraio (Psi), Elena Bonetti (Azione). Una foto che, lunedì, potrebbe diventare un punto di forza o un atto di accusa. L’altro ragionamento che si fa è più generale e riguarda la scommessa che sta facendo Conte, ossia quella di “degrillinizzare” il M5s. Ce la farà? Il M5s terrà, dopo questo scontro, o perderà voti? L’esito della battaglia, infatti, peserà anche sulle sorti del Pd, che fin qui ha scommesso sull’alleanza con il M5s. Qui i ragionamenti cambiano a seconda della “parrocchia” che senti. Chi ha investito sul rapporto strategico con il M5s (Goffredo Bettini e la sinistra del Pd) spera che Conte abbia la meglio, che questo braccio di ferro premi l’ex avvocato, stabilizzando lo status quo. «Ci auguriamo», ha detto ieri Matteo Ricci, vicino a Bettini, «che Giuseppe Conte mantenga saldamente la guida del Movimento 5 Stelle, perché ha espresso la volontà che il suo partito sia nel centrosinistra. Guardiamo al dibattito interno al Movimento con grande rispetto, sperando che non ci siano divisioni. La forza del principale alleato rimane, per il Pd, assai importante. Il Pd non gode mai dei problemi dei suoi alleati, perché la forza dell’alleato è la forza del campo che stiamo costruendo».

Se il M5s dovesse pagare un prezzo e calare ulteriormente, sarebbe un problema grosso anche per il Pd. E non solo per le future elezioni politiche. Per esempio, la possibile candidatura di Roberto Fico in Campania, a quel punto, potrebbe essere messa in discussione. Per le opposte ragioni i riformisti del Pd, da sempre critici sull’alleanza con il M5s, non vedrebbero male un ridimensionamento di Conte. Aprirebbe la strada a una riflessione sulle alleanze, rimettendo in discussione la strategia fin qui seguita.

 

 

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