Censura rossa: l'assessore critica le donne con gli attributi? Il Pd lo costringe ad andarsene
«Mi dimetto perché alla sinistra, che avevo visto come una roccaforte di libertà, la libertà più autentica non interessa affatto. L’unica molla ormai capace di muoverne i riflessi condizionati è il narcisismo etico. L’unica cosa importante per voi è posizionarsi dalla parte dei giusti e dei buoni. Fare vedere che lo si è pur non essendolo mai».
Finisce così dopo sei anni, con un atto d’accusa al sistema progressista, politico e di pensiero, l’avventura da assessore alla Cultura del Comune di Livorno di Simone Lenzi, con un passo indietro sollecitato dal sindaco, Luca Salvetti, che ritiene il non avere rogne più importante del difendere i suoi uomini e i principi. Lenzi non è il solito politico di seconda fascia. È un intellettuale, uno scrittore, ha fatto lo sceneggiatore per Paolo Virzì e Walter Veltroni. Da assessore, ha allestito la prima rassegna per Pietro Mascagni, livornese ignorato per settant’anni dalla sua città in quanto fascista, malgrado la sua “Cavalleria Rusticana” sia tuttora tra le dieci opere più eseguite al mondo. Come tutti dalle sue parti, è una linguaccia sfrontata, non resiste all’impulso di commentare quello che non gli garba. Talvolta gli riesce bene, altre meno. Le sue disavventure iniziano con un tweet nel quale attacca Il Fatto Quotidiano, definendolo «verminaio del nulla e laboratorio di abiezione morale».
Da quel momento, misteriosamente lo investe un ciclone, che rende universali tutti i suoi giudizi precedenti. In particolare, uno in cui criticava una statua di donna con attributi maschili. «Tengono a farci sapere che la donna quintessenziale ha il pisello (lui lo scrive più volgarmente, con colorita espressione sicula). Non è che siamo borghesi scandalizzati; siamo borghesi annoiati a morte da questo lavaggio del cervello, prevedibilità, predica continua».
Mesi prima, Lenzi se l’era presa con «le 28 categorie di identità sessuale asseverate, tra cui compaiono i lithsexual e gli skoliosexual», sostenendo che «in quanto alla soglia della vecchiaia, mi sento libero dall’obbligo di identificarmi», augurandosi di non essere per questo discriminato. In mezzo, qualche considerazione sulla «scuola apparentemente egualitaria, senza voti né competizione, che serve solo a bloccare l’ascensore sociale e consolidare i privilegi» o sugli ecovandali che aggrediscono i monumenti, «frustrati, la cui consapevolezza di non saper fare nulla porta a sporcare i lasciti di un’umanità che sapeva fare tutto».
Tanto basta oggi per essere ritenuti indegni di appartenere a una giunta rossa ed essere costretti a dimettersi da chi ogni giorno accusa la maggioranza di centrodestra di voler instaurare una dittatura. Il Lenzi se ne deve andare sotto l’ignominiosa accusa di essere omofobo, dopo aver firmato tutti i provvedimenti della città in favore della comunità lgbt e aver sposato coppie gay. Evidentemente, la comunità non ha gradito le battute di genere, «ma se ti senti offeso, non significa che tu abbia ragione», replica l’ex assessore con le parole del comico britannico Ricky Gervais. E gli dà ragione anche Ivan Scalfarotto, che accusa la sinistra di ignoranza: «Chi accusa Lenzi di omofobia, non ha letto un rigo della sua opera».
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«Ma in fondo, quanto è bello restare uomini liberi. Tornare a essere uomini liberi» si consola l’ex assessore. «Giorgia Meloni» confida a Libero l’uomo tornato libero per aver mollato la giunta rossa «non mi rappresenta, ma credo sia una leader carismatica che sa fare il suo lavoro. Soprattutto, penso che finché da questa parte continueremo a combattere in questo modo la libertà di pensiero, lei continuerà a governare. Su una cosa eravamo superiori: la capacità di leggerezza e di ironizzare su di noi. Questa era la nostra vera egemonia... Ma ora, se lasciamo alla destra il buon senso, non dobbiamo stupirci se poi essa ce lo picchia sulla testa».
Non c’è molto da aggiungere. Ha già detto tutto il Lenzi. Quanto al Salvetti, il sindaco che non lo ha salvato, lui non è una lenza e perciò ha un grande futuro in questo Pd assolutista, conformista e senza humor.