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Antonio Gramsci, quando il Partito comunista nascose la sua fede

Antonio Socci
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In questi mesi Antonio Gramsci - molto studiato anche all’estero - è stato evocato spesso nel dibattito pubblico italiano. Eppure sembra che persista un argomento tabù: la sua (controversa) conversione. C’è qualche storico controcorrente come Luigi Nieddu che, indagando i tanti misteri dei suoi ultimi due anni e della sua morte, ne ha parlato, nel 2014, nel suo libro L’ombra di Mosca sulla tomba di Gramsci (Le Lettere), ma fra gli storici di area l’ipotesi è liquidata drasticamente. Un esempio recente.

Lo storico Angelo d’Orsi ha pubblicato, con Feltrinelli, Gramsci. La biografia e alla fine del suo libro racconta gli ultimi tre giorni del leader comunista. La sua situazione era tragica. Ricordiamola. Gramsci era stato arrestato nel 1926 e condannato a venti anni da parte del Tribunale speciale del regime fascista. Le dure condizioni della detenzione andarono a minare la sua salute già molto cagionevole ed egli subì una progressiva demolizione fisica e anche psicologica perché, nel frattempo, la sua critica a Stalin lo aveva isolato nel partito togliattiano e reso pericolosamente sospetto a Mosca. Alla fine del 1933 fu ricoverato, sempre come detenuto, in una clinica di Formia, dove poté continuare a studiare e a scrivere, e un anno dopo ottenne la libertà condizionata. La sua salute però peggiorava e nell’agosto 1935 fu trasferito alla clinica Quisisana di Roma (...)

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