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Alessandro Giuli: "Un piano Mattei per la cultura"

Pietro Senaldi
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Non si risparmia Alessandro Giuli davanti alla platea dei parlamentari di Fratelli d’Italia, riuniti a Brucoli, tra il mare e l’Etna, dall’onorevole Manlio Messina per la seconda edizione delle “Radici della bellezza”, evento ottobrino del partito. È la terza tappa della settimana di consacrazione del nuovo ministro della Cultura, iniziata con l’ultimo esame all’università, dato all’alba per sfuggire le contestazioni. «Perché i rivoluzionari sono giovani e hanno diritto di alzarsi tardi e arrivare dopo il cappuccino e la brioche, per la qual cosa non mi hanno trovato...», ironizza l’ospite d’onore. «Il 30 me lo sono meritato», garantisce. La seconda è stata l’imitazione che gli ha fatto Crozza. «Mi sono vestito come lui, giacca bianca e panciotto, un po’ coloniale».

Attenzione però, ogni riferimento al fatto che ci sarà anche un Piano Mattei della Cultura è puramente casuale. Anche se «nel corno d’Africa stanno rielaborando la nostra architettura del cosiddetto Impero, molto migliore dei casermoni cinesi che stanno devastando il Continente», precisa il ministro. Che aggiunge: «Non è vero che sono l’ammorbidente del centrodestra, quello che fa digerire tutto. Preferisco definirmi l’uomo della destra senza paraocchi che dialoga».

La terza tappa è Brucoli dove, intervistato da Libero, l’ex ragazzo di destra che a Trastevere faceva a pugni per difendere il territorio non manca di assestare un paio di morbidi colpi. «Ammetto, ho avuto la mia gioventù scapestrata e rissaiola, ma non la rinnego. A quindici anni si può sbagliare; mi ha salvato Parmenide, lo studio e da tempo ormai mi sono disintossicato dal virus della destra radicale».

 

 

 

CONTINUITÀ

Oggi Giuli ha il telefonino che squilla spesso e capita che dall’altra parte dell’apparecchio ci sia chi si trovava trent’anni fa dall’altra parte della barricata. «La mia porta è aperta a tutti», garantisce il ministro. «Valuto i prodotti, per questo dico che la smetteremo di finanziare film che non va a vedere nessuno, ce lo chiedono gli stessi operatori del cinema, che sono i primi a non poterne più del reddito di cittadinanza da pellicola. Da oggi regole rigide e basta distribuzione di denari a pioggia, si punta ad alzare la qualità».

Pare che gli intellettuali di sinistra siano come gli insegnanti, i giudici e i burocrati, «la maggioranza si sente soffocata dalla minoranza ideologizzata che dà una falsa impressione della categoria». Comunque tutto sarà più chiaro domani, quando il ministro illustrerà le linee essenziali della sua azione alle commissioni congiunte delle Camere. «Per ora», accenna, «posso dire che il mio lavoro sarà in continuità con quello del mio predecessore, Gennaro Sangiuliano, che ha fatto bene, e non solo perché la mia nomina alla presidenza del Maxxi fu la sua prima scelta. Tante biblioteche, tanta riqualificazione delle periferie e tanto ambiente saranno il mio tocco personale».

 

 

 

Anche se si laureerà alla soglia dei cinquant’anni, «perché ho iniziato a lavorare presto», e avrebbe voluto essere uno sciamano, in quanto convinto che la storia sia un unico filo e che per conoscerla bisogna anche viverne le radici, «non è vero però che faccio riti celtici e mangio fegato crudo, questo appartiene al processo di mostrificazione che ho subito», Giuli è stimato grande intellettuale. «E vi posso dire», garantisce, «che questi due anni di governo della destra-centro hanno già cambiato il sentimento dell’Italia. Siamo guardati all’estero con una stima e un interesse che la narrazione della stampa nazionale non registra. L’ho constatato al G7 della Cultura a Napoli, un evento nel quale sono stato precipitato a pochi giorni dalla nomina e dove tutti i miei colleghi ministri hanno mostrato massimo interesse e curiosità.

Ma, soprattutto, si avverte una nuova consapevolezza degli italiani di centrodestra, trattati spesso come dei panda, un po’ come me quando facevo l’opinionista di destra nei talk show televisivi. Finalmente si sentono rappresentati dalle istituzioni e presi in considerazione. È questa anche la funzione del ministero della Cultura, rappresentare tutti gli italiani e non più solo una parte». «Nel catalogo Adelphi», spiega il ministro, «almeno la metà degli autori sono di destra, ma la cultura progressista ha lasciato che su di essi si depositasse molta polvere negli anni. Vanno semplicemente riaccese delle luci, senza sostituire un blocco dominante con un altro, la logica del rancore non ci appartiene».

 

MONOPOLIO

La destra comunque Giuli confessa di averla nel sangue. «È stato naturale diventare di destra, con un nonno che trasferì la famiglia a Salò dopo l’8 settembre e un padre che lavorava nel sindacato alla Cisnal. L’altro nonno era monarchico, ma di quelli che dopo l’armistizio hanno fatto la resistenza». Non è per questo però che Giuli ha scritto un libro su Gramsci, «e neppure per risultare ben accetto alla sinistra una volta diventato ministro», scherza. «Lui era un teorico del monopolio culturale, anche un eretico a suo modo. Nel suo pensiero si trovano anche le ragioni dello smarrimento della sinistra di fronte alla perdita di presa sulla Rai, che da tempo però i progressisti non usavano come strumento di promozione culturale, facendone solo un terreno di spartizione e lotte tra clan. Da qui l’implosione di questi giorni».

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