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Dossieraggio, il giallo dei destinatari di Pasquale Striano

Brunella Bolloli
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Manca un tassello importante nella vicenda del presunto dossieraggio su cui sta indagando la procura di Perugia. Se infatti è stato messo nero su bianco, nell’ordinanza firmata dal procuratore Raffaele Cantone, che a effettuare gli accessi abusivi era il luogotenente della Guardia di Finanza Pasquale Striano, esperto a compulsare le banche dati del sistema analisti, non è ancora chiaro a chi avrebbe inviato gli oltre duecentomila file scaricati mentre era in forza alla Dna. Una parte, secondo l’accusa, è stata di sicuro girata ad alcuni giornalisti, come gli inviati del quotidiano Domani, con cui Striano aveva un rapporto di scambio fitto di informazioni: circostanza comune nell’ambiente dei media dove il cronista chiede notizie a una fonte qualificata, la quale non teme di essere scoperta perché tutelata, salvo casi eccezionali, dal segreto professionale.

Però qui, dice l’inchiesta, le cose erano condotte in modo un po’ diverso. Striano veniva interpellato non come una normale fonte investigativa alla quale attingere ogni tanto per una soffiata che aiutasse a inquadrare meglio l’argomento da trattare, ma come una specie di “bancomat” da cui estrarre di continuo dati riservati e utili per confezionare un servizio quasi sempre orientato a livello politico contro il centrodestra, visto che tra i soggetti “dossierati” di centrosinistra ce ne sono davvero pochi. Molto spesso, poi, era lo stesso Striano a proporre ai cronisti amici argomenti da approfondire esaltandosi su «notizie bomba», come se volesse lui portare alla ribalta vicende che lo avevano colpito, orientare il dibattito, fare lo scoop. Notizie che serviva su un piatto d’argento, dopo avere consultato il cervellone della Direzione nazionale antimafia al quale accedeva con la propria password e la matricola, quasi incurante dei rischi che poteva correre per il suo lavoro di capo del gruppo Sos, Segnalazioni di operazioni sospette, vale a dire quelle operazioni che rappresentano un mezzo di tutela contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo.

 



In sintesi: secondo l’accusa Striano è passato dal fare le Sos, come contemplava la propria attività di finanziere, a effettuare accessi alle banche dati riservate senza che vi fosse la necessità. Ma se l’impulso nasceva da lui o c’era la richiesta di qualcuno sopra di lui, un “mandante” che gli commissionava tali movimenti, questo è un punto che gli inquirenti devono ancora accertare. Così come è da scoprire a chi sono arrivati gli oltre 230mila file scaricati dal tenente, anche 10mila in un giorno solo, secondo i pm umbri. Un «verminaio» di accessi illegali, risalente al periodo 2019-2022 (ma non è escluso anche prima) che difficilmente possono essere opera di un unico soggetto, come ha osservato l’attuale procuratore Antimafia e Antiterrorismo, Giovanni Melillo, in audizione a marzo di fronte alla commissione parlamentare Antimafia.

Alcuni atti sono di certo finiti nelle mail di alcuni cronisti, che infatti sono accusati in concorso con Striano (e Laudati) di rivelazione del segreto. Ma tutto il resto frutto della gigantesca esfiltrazione di dati? È possibile che il tenente della Gdf abbia consegnato a suoi contatti dei Servizi segreti, magari operativi fuori dai confini nazionali, delle informazioni sensibili di politici, vip, imprenditori italiani? All’udienza del Riesame di due giorni fa a Perugia i nuovi documenti depositati dai magistrati umbri sono così tanti da confermare «il verminaio» emerso quando è scoppiato lo scandalo dossier nato a seguito di un esposto del 2022 di Guido Crosetto La procura di Perugia sta lavorando, contro ogni tentativo di boicottaggio, e ha fatto sapere che le indagini vanno avanti e infatti sono in corso gli accertamenti sulla destinazione di molti degli atti scaricati da Striano riguardanti varie categorie di personaggi. Per ora, però, è praticamente impossibile risalire a tutti i destinatari.

Striano potrebbe perfino avere distrutto quegli atti coperti da segreto o, peggio, averli consegnati all’esterno, e qui la sua posizione potrebbe aggravarsi. Tanto più che alcune sue pubbliche esternazioni, contenute nelle carte dell’inchiesta, gettano un’ombra che le indagini dovranno dissipare. «Se vuoi ti posso mandare un file che nessuno ha, neanche in Finanza, ove ci sono le 500 imprese italiane rette dai russi ci sarebbe da fare un lavorone ma io non riesco», ha detto Striano al telefono con uno 007, finito pure lui indagato. Che “lavorone” intendeva l’uomo delle Sos? E perché uno stimato funzionario maneggiava e trasferiva queste nozioni delicate dal punto di vista della sicurezza nazionale fuori dalla Dna? Non in cambio di denaro, visto che nessun compenso pare essere arrivato sui suoi conti, ma qualche verità potrebbe dirla lui stesso se decidesse di parlare ai magistrati nell’udienza del 12 novembre. Intanto si muove il Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, che dovrebbe audire a breve sia Crosetto che i vertici dei Servizi. Mentre in parallelo con l’inchiesta giudiziaria si attendono gli approfondimenti della commissione parlamentare Antimafia, di cui uno dei due vicepresidenti è il deputato M5S, Federico Cafiero De Raho. Il grillino fino a febbraio 2022 era al vertice della Dna, superiore di Striano. Motivo per il quale i commissari di centrodestra, Maurizio Gasparri in testa, chiedono che lasci la Commissione.

 

 

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