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Se l'università Roma Tre usa i fondi del Pnrr per il laboratorio sui "bimbi trans"

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Alessandro Gonzato
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Pubblicità regresso. C’è un ateneo, quello di Roma Tre, che reclamizza un “laboratorio per bambin* trans e gender creative”. L’avviso è disseminato di asterischi, che stanno per lo schwa, la “e” rovesciata simbolo della neutralità. Intendiamoci: ciascuno ha il diritto di sentirsi “fluido”, di svegliarsi Mario e coricarsi con la convinzione di essere Maria: questione di gusti. Il punto qui è che c’è un’Università che non solo non si preoccupa di limitarsi a insegnare architettura ed economia a ragazzotti e giovani donne senza asterisco fatti e finiti; qui c’è un ateneo che per fluidificare giovani menti investe quasi 24mila euro ottenuti tramite il Pnrr e che forse potevano e dovevano servire a qualcos’altro. Sì perché, a prescindere dal modo grottesco in cui verranno utilizzati i denari, la professoressa che seguirà il “laboratorio”, Michela Mariotto, aveva ottenuto l’assegno nell’ambito di un progetto di ricerca diverso: «Comprendere l’impatto dei discorsi d’odio online sulla vita quotidiana degli adolescenti». Dunque fuori tema, fuori età, fuori luogo. L’inizio del bombardamento ideologico è previsto per sabato.

IL PROCLAMA
Si tratta – leggiamo sempre sulla locandina – di “un progetto di ricerca con strumenti ludico-creativi per ascoltare e accogliere le storie di bambini e ragazzi condotto da ricercator* della comunità e da un’insegnante montessoriana”. Abbiamo corretto degli errori, perché asterisco a parte ci sono anche altri obbrobri. Torniamo al bando originario. C’è scritto che «gli obiettivi sono»: 1) «condurre una revisione sistematica e dei “focus group” per sviluppare un’operazionalizzazione (c’è scritto così, ndr) empirica dei discorsi d’odio online e contribuire alla creazione di una scala psicometrica per la sua valutazione; 2) raccogliere dati longitudinali intensivi attraverso diari giornalieri per analizzare le conseguenze dell’esposizione ai discorsi d’odio online su target non a rischio e a rischio, per esempio adolescenti appartenenti a minoranze etniche e lgbtqi+; 3) identificare i processi longitudinali e i mediatori associati a comportamenti di contrasto dei discorsi d’odio online». Il progetto di ricerca attenzione - «seguirà un approccio multicentrico, basato sulla scuola, per includere nel campione un numero sostanziale di studenti a rischio di discorsi d’odio online». Chiaro, no?

 



Già piovono le accuse di omofobia sull’associazione Pro Vita (attendiamo quelle contro Libero), la quale ha lanciato una petizione nazionale per chiedere al rettore, Massimiliano Fiorucci, di «annullare immediatamente l’iniziativa ideologica che coinvolge minori al di fuori di qualsiasi contesto scientifico condiviso». Il ministero dell’Università, presieduto da Anna Maria Bernini, ha incaricato gli uffici di contattare l’ateneo per acquisire tutte le informazioni del caso. In modo particolare il ministero dovrà verificare se il progetto corrisponda ai requisiti previsti dal bando che ha consentito di accedere a fondi pubblici, il che ci pare dubbio, ma è anche vero che da bambini non abbiamo mai partecipato a laboratori fluidi, quindi potremmo essere limitati nell’analisi.

FUOCO DI FILA
Era normale (e inevitabile) che dal centrodestra partissero bordate. Il primo è stato Fabio Rampelli, deputato romano di Fratelli d’Italia che ha già presentato un’interrogazione parlamentare alla Camera: «Coinvolgere bambini di cinque anni è inaccettabile, è un colpo ferale alla libertà dei minorenni di crescere senza condizionamenti né coercizioni indotte, così come alle mamme e ai papà espropriati del loro diritto e dovere di educare e formare i figli in un’età così delicata». Il tono si fa durissimo: «Liberiamo scuola e università dalle insidie rappresentate da un manipolo di esaltati con i neuroni bruciati dall’ideologia gender. Ogni adulto è libero di fare le sue scelte e deve vedersi riconosciuti i medesimi diritti, omo, etero o altro, ma giù le mani dai nostri bambini». A sera, in un altro comunicato, Fratelli d’Italia definisce «inquietante» questo corso gender. L’iniziativa dell’ateneo romano insidia per valore quella del Comune dem di Verona – guidato dall’ex calciatore Damiano Tommasi – che l’anno scorso aveva pubblicizzato un vademecum pro-Lgbt che insegnava la fecondazione “fai da te” con il “metodo della pipetta”: «È quello più semplice e accessibile per fecondare un ovulo senza rapporto sessuale. Non è necessaria la presenza di un medico e può essere eseguito a casa», informava il manuale. Anche allora il volantino era pieno di asterischi fluidi. Da Nord a Sud le iniziative proliferano. Ormai è una competizione tra fuoriclasse.

 

 

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