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La marcia della resa: se la sinistra anti-Occidente va al governo è la fine dell'Italia

Daniele Capezzone
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Ma no, non chiamatela “Marcia della pace”. Chiamatela direttamente “Marcia della resa”: a dittatori, islamisti e nemici della libertà. Oppure, per sintetizzare: “Marcia contro l’Occidente”. Così facciamo prima e mettiamo subito a fuoco gli obiettivi (speriamo involontari e inconsapevoli) di molti tra i convocatori e i partecipanti.

Qualcuno potrebbe obiettare: ma cosa volete che dicano e facciano i pacifisti? Ovviamente si dichiarano perla cessazione delle ostilità in qualsiasi teatro bellico. E l’argomento – apparentemente – non fa una grinza. Ma basta pensarci un attimo, strappare il velo dell’ipocrisia, e si arriva al cuore della questione: tutti siamo astrattamente per la pace, nessuno può augurarsi un orizzonte di guerra, e però il punto – uscendo dagli slogan – è capire volta per volta chi sia l’aggressore e chi l’aggredito, chi stia operando per neutralizzare i terroristi e chi invece per alimentarli e rafforzarli, chi abbia in mente un esito di libertà e democrazia e chi invece punti a consolidare ed estendere l’area delle autocrazie, della negazione delle libertà, o addirittura dell’aggressione contro gli stati democratici vicini.

 

 

 

PAROLE IN LIBERTÀ

Ecco: scorrendo le dichiarazioni dei principali esponenti della sinistra, ieri ad Assisi, queste elementari preoccupazioni appaiono pressoché inesistenti. Prendi Giuseppe Conte, che – contro Israele – straparla di «un crimine di stato» e di «una delle pagine più ignobili dal dopoguerra ad oggi». Come se Gerusalemme non dovesse misurarsi con il tentativo terroristico di cancellazione della propria entità statuale: obiettivo esplicito di Hamas, Hezbollah e della vera testa del serpente mediorientale, cioè il regime degli ayatollah iraniani. Quanto alla Russia di Putin, Conte – da sempre – ha solo petali di rose da lanciare: non è l’unico in Italia, purtroppo, ma lo zelo dei grillini non teme concorrenza.

Prendi Nicola Fratoianni: «Bisogna ribellarsi alla rassegnazione e all'indifferenza», dice. Ah sì? E infatti lui – per non confondersi – sta sempre dalla parte sbagliata, sia in Medio Oriente che in Est Europa. Ma prendi soprattutto Marta Bonafoni, la coordinatrice della segreteria nazionale del Partito Democratico, vicinissima a Elly Schlein, che fa la vaga e sfarfalleggia così: «Siamo incastrati dentro un dibattito “armi sì, armi no” che porta solo ad un vicolo cieco, perché sia chi è contro sia chi è a favore della guerra è diventato comunque esperto di armi».

Le sfugge solo il piccolo “dettaglio” – per limitarci a un solo esempio – che qualcuno abbia usato le armi per fare la strage del 7 ottobre e qualcun altro per impedire che eventi del genere possano ripetersi. È perfino mortificante questa rassegna di omissioni, di ipocrisie, di piccole furbizie, di escogitazioni lessicali per sfuggire al nocciolo della questione. Le amare conclusioni da trarre sono purtroppo due. La prima: a sinistra queste posizioni sfacciatamente anti-occidentali sono oggi maggioritarie, dominanti, appartengono alla cabina di guida del convoglio progressista. Conte detta la linea (pro Pechino, pro Teheran, pro Mosca), Fratoianni e compagni sono naturalmente in sintonia, e il Pd è totalmente succube di questa deriva. Ormai le posizioni di segno diverso, di minima consapevolezza residua della metà campo geopolitica in cui l’Italia dovrebbe invece essere collocata, sono a sinistra ridotte al rango di opinioni personali, di casi di coscienza. Sono ormai i Tarquinio e le Strada a dare il tono alla musica e a dirigere gli smarriti orchestrali: e c’è perfino da sorridere nel ripensare a chi sosteneva, ai tempi della composizione delle liste per le Europee, che quei due eurodeputati avrebbero rappresentato un’eccezione isolata, un posizionamento laterale ed eccentrico. Tutto il contrario: sono loro al centro della scena, mentre le poche personalità pro-Occidente della sinistra sono costrette a fornire spiegazioni, quasi a giustificarsi. Intendiamoci: anche a destra ci sono purtroppo – qua e là, nei tre partiti – oscillazioni e timidezze. Ma nulla di paragonabile al vero e proprio paradigma affermatosi nel campo largo.

 

 

 

L’INCUBO

E qui si arriva alla seconda conclusione: ve la immaginate questa allegra comitiva di nuovo a Palazzo Chigi? Ve la figurate la gestione delle crisi in Ucraina e in Medio Oriente affidata al “gruppo di lavoro” Conte-Fratoianni-Bonafoni? L’Italia si ritroverebbe automaticamente collocata tra i “paria” del mondo, in un’area di ambiguità se non addirittura di sostegno esplicito al nuovo asse del male Pechino-Teheran-Mosca. E si tratta di una scelta di fondo che non può essere più celata nemmeno dalle potenti cortine fumogene prodotte dai giornali (quasi tutti, con tre o quattro eccezioni) che fiancheggiano il campo largo. 

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