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Fitto, le profezie sballate a sinistra: "Italia a pezzi", "isolata", "irrilevante"

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Fino a ieri mattina hanno sperato nel flop, in un governo costretto a ingoiare la bocciatura di Raffaele Fitto. «Incarico dato troppo presto per scontato (...). L’Italia dovrebbe limitare le proprie ambizioni, pagando il prezzo della propria ambiguità», ha scritto Marcello Sorgi sulla Stampa prefigurando la sconfitta di Giorgia Meloni.

L’ex direttore del Tg1 è uno di quelli che per tutta l’estate, dopo il voto contrario di Fratelli d’Italia al bis di Ursula von der Leyen, ha vaticinato la “Caporetto” per Palazzo Chigi nella partita per le nomine Ue. «Meloni sta già pagando il conto delle scelte sbagliate in Europa», ha avvisato, ad esempio, il 26 luglio, a pochi giorni dal voto nell’aula di Strasburgo.

 

 

 

Sorgi è in buona compagnia. Un’immagine molto cara ai commentatori è stata quella di Giorgia Meloni impotente. «Imprigionata tra Tajani e Salvini», ha sentenziato Alessandro De Angelis sulla Stampa il 22 luglio. E sull’Huffington Post, lo scorso 11 settembre, il giornalista è tornato alla carica: «Il povero Fitto è rimasto incastrato (...). La premier si è infilata, sin dall’inizio, in un pasticcio». All’indomani del voto all’Europarlamento non c’erano dubbi: l’esecutivo Meloni era avviato alla sconfitta. Ecco l’inviato Lorenzo De Cicco su Repubblica. Titolo: «L’autogol di Meloni: “Scelgo la coerenza”. Ma ora l’Italia rischia di finire in serie B». Nientemeno. L’articolo del 19 luglio tratteggia uno scenario apocalittico: «Fallito il doppio gioco della premier».

 

 

Nella maggioranza era tutto un susseguirsi di timori per il rischio di «pagare lo scotto dell’isolamento». A partire dalle deleghe della nuova Commissione: «Nonostante le dichiarazioni di facciata, preoccupa un possibile declassamento. Pare sfumata la vicepresidenza esecutiva. E forse pure una vicepresidenza semplice, che potrebbe sopravvivere solo con deleghe minori come la Semplificazione o il Mediterraneo».

Sul Quotidiano nazionale (Nazione, Carlino, Giorno) lo stesso giorno, e alla medesima conclusione, arriva Lorenzo Castellani che firma il seguente editoriale: «Il primo passo falso della premier». Il voto contrario alla presidente della Commissione uscente «annulla un percorso di legittimazione presso le istituzioni europee e di collaborazione con la Commissione che ha caratterizzato l’ultimo anno e mezzo di governo». Inevitabili le conseguenze catastrofiche sul futuro del rapporto con Bruxelles. Castellani prima sentenzia - «ci sarà un commissario, ma non una vicepresidenza» -, poi si chiede: «Perché Von der Leyen dovrebbe tendere una mano a Meloni che l’ha bocciata in Parlamento?». È finita, a proposito di mano tesa, con Ursula che ha assegnato all’Italia di Meloni una vicepresidenza esecutiva. Così a Castellani, ieri, non è rimasto che ammettere (su Formiche): «Fitto è una vittoria di Meloni».

 

 

 

Il 20 luglio, su Repubblica, è stato invece il giorno dell’invettiva di Massimo Giannini: «Ursula e la scelta dissennata di Giorgia». Il banco degli imputati è tutto per la premier: «L’Italia esce a pezzi dalla partita a poker su Ursula». Tutta colpa di Meloni, che dopo essersi seduta al tavolo «con tre carte diverse» (Forza Italia a favore di von der Leyen; Lega contraria; Fratelli d’Italia con le carte coperte fino all’ultimo) si è alzata «senza neanche giocare. Bella figura, signora presidente del Consiglio».

Il giorno dopo, sulla solita Stampa, è salita in cattedra Veronica De Romanis: «Con la decisione di votare contro Ursula Von der Leyen, Meloni ha commesso un errore». E a farne le spese sarebbe stato Fitto: «Il voto contrario di Meloni non aiuterà il futuro Commissario, uomo o donna che sia». Del resto, profetizzava, sarebbe stato imbarazzante, per Fitto, rispondere a una domanda simile: «Lei come intende portare avanti il programma della Commissione che però la sua premier ha bocciato?».

A proposito: pure il gender gap era considerato un ostacolo insormontabile per il ministro degli Affari europei. «La presidente dell’esecutivo europeo non ha apprezzato la designazione di commissari in netta maggioranza uomini», era l’avviso di Claudio Tito nella sua corrispondenza da Bruxelles per Repubblica. E a pagare il prezzo più alto sarebbe stato, naturalmente, Fitto: «Tra gli aspiranti vicepresidenti non sembra avere le chance maggiori». Non è andata proprio così.

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