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M5s, la guerra finale tra Grillo e Conte mostra i rischi che correremo se questa sinistra tornasse al potere

Daniele Capezzone
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Tra Giuseppe Conte e Beppe Grillo, tra l’avvocato del popolo e l’elevato di Sant’Ilario, siamo ormai platealmente arrivati al reciproco lancio di pesci in faccia: anzi, “poissons à la figure”, secondo un irresistibile sketch dell’indimenticabile Carlo Dapporto, che usava un francese improbabile per sottolineare l’assurdità comica di una situazione. L’uno – Conte – sta sfilando a Grillo (che lo disprezza e l’ha sempre ricoperto di sarcasmo) tutto ciò che il fondatore del Movimento aveva costruito: e, dietro l’aria compunta con cui l’ex premier sciorina gli articoli dello statuto e la sua presunta volontà democratica di dare la parola ai militanti, si percepisce il gusto sadico di vendicarsi di anni di battute e di sorrisini. L’altro – Grillo – vorrebbe insieme la botte piena e la moglie ubriaca, e magari anche l’uva ancora nella vigna: e cioè tenersi un assoluto potere di vita e di morte sul partito pentastellato, ma anche continuare a incassare una consulenza da 300mila euro l’anno.

 

 

Morale: ne rimarrà uno soltanto, ed è probabile che si tratti di Conte. Ma - feroce rissa condominiale a parte - il paradosso è che i due, su ciò che davvero conta, e cioè sulla collocazione geopolitica preferita per l’Italia, andrebbero d’amore e d’accordo, essendo entrambi supertifosi delle peggiori autocrazie del pianeta: piccoli fan di Vladimir Putin, supporter politici del regime iraniano, oltre che grandi amici della dittatura cinese. Per stare a Grillo e alla Cina, nei palazzi romani c’è chi non ha dimenticato quelle strane giornate prenatalizie (eravamo a dicembre 2019) quando il comico si presentò a Roma indossando una vistosa mascherina nera (oggetto che in quel momento nessuno aveva motivo di portare sul viso) e mormorando ai cronisti: «Per proteggermi da voi, mi proteggo un po’ dai vostri virus». Poi, con un gioco lessicale che – interpretato a posteriori, alla luce del Covid esploso molte settimane dopo – fa pensare, accennò alle sardine come a un «movimento igienico sanitario» («vogliono igienizzare la società», disse). Magari l’uso di quelle parole fu solo un caso, come l’aver indossato la mascherina.

Qualche settimana prima, a fine novembre, sempre a Roma, ci furono due visite in ventiquattr’ore del comico all’ambasciatore cinese, circostanza che Grillo spiegò - si fa per dire - con queste parole: «Gli ho portato del pesto e gli ho detto che se gli piacerà dovrà avvisarmi in tempo perché sarei in grado di spedirne una tonnellata alla settimana, sia con aglio che senza, per incoraggiare gli scambi economici». Davvero avranno parlato solo di pesto alla genovese, basilico e aglio? E il discorso, sia per lui sia per Conte, ci porterebbe lontano rispetto alla simpatia politica sfrenata per Mosca-Pechino-Teheran.

E questo, a ben vedere, ci aiuta a far compiere un passo ulteriore al nostro ragionamento. Poniamo che – prima o poi – gli equilibri politici mutino, che il centrodestra scivoli (magari alle elezioni del 2027), e che l’Italia finisca nelle mani del cosiddetto campo largo. Ecco, sommando questo posizionamento in politica estera dei grillini, l’inconsistenza sul piano della cultura politica e le evidenti fragilità di Elly Schlein, la pericolosità della linea di Bonelli-Fratoianni, cosa mai potrebbe venir fuori? Elementare, Watson. Primo: una collocazione geopolitica nella metà campo sbagliata, in un’area di oggettiva ambiguità rispetto all’Occidente e all’asse atlantico.

Secondo: provvedimenti economici ammazza-bilancio, tipo il superbonus, i sussidi e le altre follie grilline (tutte allegramente accettate dal resto della sinistra). Terzo: lassismo su immigrazione e sicurezza, secondo quanto è già avvenuto nei lunghi anni della permanenza del Pd al governo. E infine quarto, per spargere fumo: un’ondata ideologica di proposte su cittadinanza-famiglia-gender, peraltro nemmeno in una chiave di maggiore libertà, di più ampie facoltà (e quindi di positivo arretramento della legislazione: questa sarebbe infatti una impostazione liberale, impensabile per i comunisti), ma sempre – al contrario – in una chiave ultrainterventista, potentemente dirigista, di nuove e dettagliate leggi che dovrebbero regolamentare tutto, espandendo – anziché riducendo – la sfera dell’intervento pubblico nella società e nella vita privata delle persone.

Questo – non altro – sarebbe il quadretto della situazione con la sinistra al potere. Sarà bene pensarci. L’attuale centrodestra ha certamente i suoi difetti, le sue lentezze, alcune inspiegabili chiusure, una incomprensibile difficoltà nell’aprirsi ad altre parti della società italiana: ma è questo il campo politico rispetto al quale vale la pena di scommettere. Per incoraggiare, per suggerire, e quando serve per criticare con spirito costruttivo. Dall’altra parte, invece, non viene e non verrà nulla di rassicurante.

 

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