Sei anni a Salvini? Chiesti per stupratori, estorsori e rapinatori
Sei anni di reclusione. Sono quelli chiesti per Matteo Salvini nel processo Open Arms, in cui è imputato per «sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio» per avere impedito lo sbarco a Lampedusa di 147 migranti. Sei anni di reclusione. Detto così fa impressione: è una pena che, se confermata, porta dritti in carcere.
Ma forse il caso di Salvini fa ancora più impressione se confrontato con altri processi in cui i giudici hanno chiesto la medesima condanna. Già, di cosa bisogna essere accusati per “meritarsi” una richiesta di sei anni di reclusione? La risposta è molto semplice: stupro, estorsione aggravata, perfino favoreggiamento di un boss mafioso...
Vediamo alcuni esempi, giusto per capirsi. A Monza, nel 2023, il pubblico ministero ha chiesto la condanna di un ventisettenne a sei anni e quattro mesi di reclusione con l’accusa di aver stuprato una minorenne (16 anni) in una mansarda. Restando in ambito sessuale, sei anni e quattro mesi di reclusione sono stati chiesti anche per un barista cinquantanovenne di Torino sospettato di aver costretto una ragazza, ventunenne all’epoca dei fatti, a un rapporto orale nel corso di un colloquio di lavoro avvenuto nel 2014. Dagli stupri a un altro reato odioso: l’estorsione. Quest’anno, a Trani, si è svolto il processo contro un commerciante accusato del reato di estorsione aggravata e continuata nei confronti di alcune sue dipendenti, una delle quali poi morta suicida. La richiesta del pubblico ministero? Sei anni di carcere...
E andiamo avanti con questa breve carrellata. Da Trani a Genova: anno 2017. Qui il pm ha chiesto i soliti sei anni di reclusione per il figlio di un presunto boss della ‘ndrangheta che avrebbe partecipato ad una rapina all’interno di una lavanderia. Nel corso della rapina, tra l’altro, un cliente, aggredito, ha pure perso un occhio...
Insomma: stupri, rapine, aggressioni con lesioni permanenti... cosa si può fare ancora? Bè, per esempio aiutare il capo della mafia. Come nel caso di uno dei «vivandieri» del boss Matteo Messina Denaro, imputato di favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena. La richiesta del giudice? Sei anni anche per lui, è ovvio... Ora, naturalmente i casi in questione sono molto diversi tra loro, come diverse, al di là della stessa richiesta dei pm, sono poi state le condanne. Ma fare un paragone è comunque utile. Un giorno di carcere ha lo stesso valore per tutti, quindi si suppone che questi famigerati sei anni di prigione vengano chiesti per reati considerati di uguale gravità. Davvero la decisione (politica) di fermare lo sbarco di un gruppo di clandestini, di provare in questo modo a difendere i confini del proprio Paese, può essere considerata al pari di una violenza sessuale, un’aggressione o un’estorsione?
Per qualcuno, probabilmente, la risposta è sì...