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Alessandro Giuli, il ministro senza laurea indigna i paladini del sapere garantito dal bollino di Stato

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Ginevra Leganza
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Non ha la laurea perché non ne ha bisogno, Alessandro Giuli, non deve dimostrare alcunché in tema di cultura. Ma ecco che chiacchiera e distintivo s’ergono a morale tra i repressi, bava alla bocca dei social, ed è tutto un dagli, a Giuli, il ministro che non ha fatto finta di averlo, il pezzo di carta, quando già una sua occhiata basta e avanza per riempire un dipartimento universitario.

E allora eccoli, loro, anzi rieccoli. Sono quelli della laurea con lode nell’Italia del “Venga dottò, venga...”. Quelli che il liceo classico apre la mente, la lettura allunga la vita, studiare serve a non servire, e che però adesso, invece d’incuriosirsi d’un neo ministro pagano, s’indignano perché lui, il ministro, da bimbo fu pazzerello (fascista) e da grande manco laureato. E sono loro, dunque. I ciucci incoronati d’alloro.

Ovvero i soliti che anziché paventare – forti di Euripide e mente aperta – un sequel di baccanali nel palazzo del MiC, ecco che si struggono perché Alessandro Giuli, il neo ministro della Cultura, non ha la laurea. Anzi, “la laura”. Ossia la licenza che per taluni – metti, per Luigi Einaudi, oltreché per Totò – vale meno della carta dove sta scritta. Ma adesso. Si sa che la categoria del ciuccio laureato, al paese nostro, è una cosa consolidata. Si sa che siamo la landa delle corone d’alloro su Instagram ancorché i dati Almalaurea siano quanto meno terrificanti (per una triennale in lettere e filosofia, in Italia, s’impiegano in media 4 anni e 4 mesi e quasi mai si conclude prima dei 25 anni d’età). Si sa, ancora, che nell’Italia del “Venga dottò, venga” e cioè delle “Vacanze intelligenti” – metti, le vacanze di Carlo Calenda coi figlioli trascinati a Ierapoli – la cultura di stato sia un’arma contundente. Una chiacchiera (e un distintivo) usata all’incirca come da ragazzi s’usava il motorino e da adulti scemi la macchina nuova: una laurea per sgommare, una laurea per impennare e un viaggio a Smirne per farsi i selfie... Si sa tutto. Ed ecco allora che di Alessandro Giuli – non laureato come il suo maestro, parimenti ministro, Giuliano Ferrara – circolano in questi giorni video di un programma in Rai.

 

 

 

RIDERE PER NON PIANGERE
Era il 2021, il programma era Vitalia, e c’era Giuli intento a suonare il flauto, coccolare il grano, evocare qualche suo dio e dea della terra. Sicché il video, retweettato da Selvaggia Lucarelli, diventa oggi virale. E perché diventa virale? Forse perché li fa ridere, i laureati in filosofia? O forse perché i suindicati laureati – fateci caso – sono solo i vinti del sistema? Quelli che ridono, appunto, ma per non piangere. Quelli semi disoccupati, talvolta semi camerieri, diplomati in triennale ma in 4 anni e mezzo, che va bene il Simposio di Platone ma prova tu a chiedergli che vino hanno in fresco... Prova. E allora vedrai – dall’aula magna al ristorante – come ti guarderanno atterriti. Minacciati poiché vittime d’una società che non ha garantito loro un programma in Rai e neppure garantisce, adesso, un mestiere purchessia. Giacché questo è il punto.

Questo è l’archetipo di riferimento: il ciuccio laureato, sovente progressista, che alla prova del tweet è più codino della curva destra. Il ciuccio di sinistra che rimprovera alla destra ciò che egli stesso predica. E dunque imputa a Meloni la distruzione della famiglia, a Sangiuliano il sesso scanzonato (il poliamore che il fu ministro ribattezzò «relazione affettiva di tipo personale»: supercazzola celestiale) e, non ultimo, imputa ad Alessandro Giuli la cultura libera, senza laurea. La cultura senza chiacchiere (esami) né distintivi (diplomi). Ed è il laureato fuoricorso, quindi, che proprio non ce la fa. Il twittarolo che potrà mica tollerare un neo ministro traduttore dal latino all’impronta. Uno che con lo stesso sorriso beffardo dei salotti tivù sa far sentire beffata – ci capitò di verificarlo a Roma anni fa, in visita al Tempio di Venere – l’allora direttrice del parco archeologico del Colosseo. Superata in sapere dal neo ministro. Ma amen. Rassegniamoci. Dopotutto siamo il paese del titolo di studio nel link in bio. Il paese delle signore che devi chiamare dottoresse. L’Italia degli studenti che studiano, che si devono prendere una “laura”, e che la cultura senza bollino non se la possono proprio permettere.

 

 

 

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