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Beppe Grillo non porterà in tribunale Giuseppe Conte: una questione di soldi

Pietro Senaldi
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Tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte finirà a carte bollate. Non è possibile alcuna composizione del dissidio perché la questione ormai è più personale che politica. Il presidente del Movimento vuole riscriverne le regole all’assemblea convocata per il prossimo mese e pomposamente battezzata «costituente».

Il trucco è farle votare dalla base per dire che è un cambiamento dal basso, nell’antica tradizione grillina. In realtà i meccanismi non sono così cristallini, a cominciare dal criterio con cui verranno sorteggiati i trecento iscritti chiamati a elaborare le proposte con il supporto di indefiniti esperti tematici, per finire con la votazione finale sulle decisioni. Ogni tesserato potrà dire la sua, ma siccome i cambiamenti hanno bisogno del via libera di almeno il 50% della comunità, attualmente di 170mila persone, Conte intende sfoltirla. Arriverà una mail a tutti e chi non rinnova entro cinque giorni, decade. Così si abbassa di molto il quorum e si fidelizza il voto.

 

 

Il fondatore si oppone a tutto questo. Ha inviato una Pec al leader ormai rivale dove, nella sua «qualità di garante», minaccia di «esercitare tutti i poteri per impedire che i valori e principi del Movimento vengano snaturati». In particolare, Grillo non vuole che si tocchino nome, simbolo e regola dei due mandati. Per bloccare il processo però bisogna ingaggiare subito un avvocato, perché Conte ha dimostrato ampiamente che ignorerà l’avvertimento e tirerà dritto. Al guru, se vuole attaccare, servono subito due provvedimenti d’urgenza, uno per delegittimare l’assemblea costituente, l’altro per confermare l’intangibilità di nome e simbolo secondo statuto del Movimento.

PIATTO PIANGE

Come minimo, seguiranno poi altri due giudizi ordinari, per delegittimare le decisioni della costituente e per vedersi riconosciuta la titolarità di nome e simbolo. Si annuncia una battaglia legale lunga, complicata e soprattutto costosa. Potrebbe avere senso se Beppe intendesse rilanciare la propria azione politica, fare una scissione, indicare un nuovo capo in alternativa a Conte. I grillini fuori dal Parlamento, che sono ormai la maggioranza, hanno provato a sondare le intenzioni del guru, anche compulsando Nina Monti, la storica collaboratrice-oracolo del comico, ma i loro propositi battaglieri di ritorno in campo sono stati delusi. Se Grillo muoverà causa sarà solo per ripudiare Conte, per cercare di sottrargli le chiavi del Movimento che pure, un pezzo alla volta, gli ha svenduto, un po’ per miopia politica e sciatteria, molto per interessi. Per questo, con ogni probabilità, non farà causa.

Il fondatore ha 76 anni, ai suoi spettacoli ormai vanno quattro gatti, il Blog delle Stelle, fondato nel 2017 è stato un flop e per di più ha affossato quello personale del comico, che era arrivato a fatturare oltre due milioni l’anno. La fonte d’introito maggiore sono i 300mila euro che il Movimento gli passa ogni anno per le sue consulenze, ormai del tutto fuori linea, e che Conte gli vuol togliere. E poi ci sono le spese legali del processo per stupro al figlio Ciro che ormai dura da cinque anni, andrà a sentenza nella primavera del 2025 e non è affatto escluso che richieda un successivo, oneroso, giudizio d’appello.

CAUSA DIFFICILE

Le sorti dell’eventuale giudizio poi sono alquanto incerte; ai nastri di partenza, più favorevoli a Conte che a Grillo. Lo Statuto è cambiato tre volte, sempre con l’assenso del fondatore, e l’ultima versione stabilisce che il partito è del presidente, tranne nome e simbolo, che appartengono al garante, il quale vigila sul rispetto dei valori del partito, come una sorta di Corte Costituzionale. Nulla dice sul tetto dei due mandati, regolato nel codice etico. Alle rivendicazioni del fondatore, l’avvocato del popolo potrebbe rispondere in giudizio, come sta facendo nelle piazze, che Grillo di fatto ha già dato il via libera al cambio del simbolo, avvenuto in precedenti elezioni, tra le quali proprio le Europee del giugno scorso, dove sono state aggiunte la parola «pace» e la data 2050.

L’ex comico potrebbe replicare, come ha detto nel suo blog e nella Pec inviata a Conte, che il presidente sta stravolgendo i principi del Movimento e lo Statuto gli dà il diritto di intervenire. Ma l’assemblea è sovrana, la politica evolve e ogni partito è sottoposto al giudizio degli elettori: i principi sacri del Movimento non sono intangibili come quelli dei primi articoli della Costituzione, i mutamenti di pelle sono ammessi, sta ai cittadini il giudizio, se premiarli o no. È la democrazia, che intende il partito e i suoi simboli come incompatibili con l’essere proprietà di qualcuno.

La giurisprudenza è molto aperta sulla questione. L’avvocato Conte lo sa e ricorda a Grillo che «non ci può essere un sopraelevato». O quantomeno, come dicono i suoi critici, che gli rinfacciano 260 nomine decise da solo e lo reputano un dittatore che governa dopo aver instaurato un regime di purghe, terrore e decisonismo senza regole, i sopraelevati sono diventati due, uno alla memoria e l’altro nei fatti.

VALORI IN CAMPO

Ma quanto vale poi questo simbolo conteso? Poco, secondo Antonio Noto, direttore di Noto Sondaggi, perché, come per Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia ma non con Elly Schlein per il Pd, sia Conte sia Grillo sono più forti come immagine del simbolo di Cinque Stelle. E soprattutto, «si rivolgono ormai a elettorati diversi, che si spartiscono equamente così che, se il Movimento alle Politiche oggi è stimato al 12%, un nuovo partito di Conte, vissuto ormai come una forza che calamita il Pd ancora più a sinistra, si collocherebbe al 6% mentre l’altro 6 resterebbe al fondatore con il simbolo, in ricordo dei vecchi tempi e dell’anti-casta».

 

 

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