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Pd, scandalo-Cultura: nomine a tempo scaduto e soldi per film mai visti

Daniele Dell'Orco
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La sinistra ha un diavolo per capello. C'è il dimissionario Gennaro Sangiuliano che nomina incarichi fuori tempo massimo, il neo ministro della Cultura Alessandro Giuli raccomandato, il governo che vuole egemonizzare un intero settore. È ovvio che vadano su tutte le furie. Perché pensano al bene del Paese? Ma quando mai. Perché come tutti i grandi maestri sono solo infastiditi nel veder operare quelli che, nel campo dell’amichettismo, dell’inadeguatezza politica e dello spoil system, in confronto a loro sono dei dilettanti allo sbaraglio.

NOMINE FUORI TEMPO
La pratica dell’assegnazione delle poltrone ex post, ad esempio, l’hanno inventata loro. Era il 21 luglio del 2022, il Governo Draghi era al Quirinale per presentare le dimissioni, ma il titolare del Collegio Romano, il dem Dario Franceschini, passò la giornata in ufficio e pensò bene di elargire nuove cariche con effetto immediato.

Tra i nuovi designati nell’elenco che Libero ha potuto visionare, ci sono tra gli altri Anna Crevaroli, vice capo di Gabinetto con Franceschini, va al servizio anticorruzione; Francesca Saccone, estranea all’amministrazione, già funzionario dell’ufficio stampa di Franceschini, al servizio eventi, mostre e manifestazioni; Salvo Nastasi, da dg del MiC, passa alla SIAE; Teresa Elena Cinquantaquattro, nominata soprintendente ai Campi Flegrei da Franceschini nel 2017, viene sistemata come Segretariato regionale del MiC per la Campania. Altre nomine rilevanti sono state quella all’Archivio di Stato di Roma, all’Archivio di Stato di Napoli, all’Istituto centrale per la grafica, al servizio relazioni internazionali. Ci sono poi tutta una serie di soprintendenze, veri tesori del potere per il MiC (Archeologia delle belle arti e paesaggio di Torino, Napoli, Bari, Perugia, Frosinone, Potenza e Archivistica e bibliografica del Lazio). E ce ne sono alcune di cui non si comprende la fretta, tipo la guida dell’Opificio delle pietre dure, se non con la necessità di lasciare in eredità qualche nome strategico.

 

Ma Franceschini, che dopo 8 anni di servizio (dal 2014 al 2022) da quelle parti è un ras, al Collegio Romano non ha mostrato solo le sue doti di designatore, ma pure quelle di stanziatore di prebende. In pochi ricordano, ad esempio, del buco da 7,5 milioni generato dal progetto fantasma “It’s Art”. Erano i tempi in cui s'era messo in testa di creare «la Netflix della cultura italiana». Solo che Netflix fattura 9,3 miliardi. Secondo a “It's Art” in termini di esborso ma non di boria, il flop di Verybello.it, un sito nato per promuovere gli eventi culturali italiani nel periodo dell’Expo2015 che visitarono in cinque, ma che costò 35mila euro. Più Iva.

Utile per capire il modus operanti del sistema Pd sulla cultura invece l’avventura della Fondazione “Giganti di Mont’e Prama”, nata per gestire le sculture nuragiche di Cabras e finita per elargire affidamenti a pioggia senza gara a qualche amichetto con i fondi accumulati dal MiC. Ma si renda onore al merito: Franceschini fu un artista completo: nello spreco e nella moltiplicazione dei pani, dei pesci e dei contributi al cinema. Sotto la sua gestione i fondi per la settima arte sono quasi raddoppiati, passando dai 514,2 milioni del 2019 agli 850 del 2022. Tutti per sostenere la produzione di pellicole che abbiano due caratteristiche sostanziali: essere girate da registi di sinistra, ed essere brutte. Mentre i geni delle commissioni bocciavano il successone “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi, finanziavamo una lista infinita di flop.

 

I FLOP FINANZIATI
Ce ne sono 20, che lo Stato ha finanziato con 11,5 milioni totali, che al botteghino hanno incassato 2mila euro l’uno. Meno desertici ma certamente non indimenticabili i film di Walter Veltroni, che proprio al Collegio Romano cominciò la sua grande avventura politica, sempre dal Collegio Romano ha presentato il conticino del suo “Quando”, in sala a marzo del 2023 (incassò 618mila euro) e talmente bello da essere finanziato sia dal MiC di Franceschini che dalla Regione Lazio di un ex segretario del Pd come lui: Nicola Zingaretti. Anche Gabriele Salvatores, ex militante di Lotta Continua, girò “Il Ritorno di Casanova”, sempre in sala nel 2023, grazie a 3 milioni e 269mila euro di contributi pubblici dal Ministero (ne incassò 760mila). Straordinario poi l’investimento per sostenere Ginevra Elkann, sorella di John e Lapo e componente di quella famiglia che edita i quotidiani che ora attaccano il governo. Franceschini la premiò con circa 3 milioni per i suoi due film: “Magari” e “Te l’avevo detto”. Se non li avete mai sentiti, è perché hanno incassato 130mila euro. In due.

TAX CREDIT
A contribuire a questo sistema l’esplosione delle richieste per i crediti di imposta, che Sangiuliano contestava, e che rappresentano buona parte del contributo per i film. Se nel 2019 erano 122 le opere ammissibili al tax credit, nel 2021 sono state 464 e l’anno scorso 409. E poi la sinistra si meraviglia che Sangiuliano abbia voluto nominare una commissione che per sostenere le pellicole assegna 50 milioni.

A Giuli, che non è ancora neanche entrato in ufficio, viene rimproverato di non essere laureato (come i “loro” Walter Veltroni e Francesco Rutelli solo per restare al MiC), di far parte del “cerchio magico” di Giorgia Meloni e di avere uno scarso curriculum. Non è mica bravo e trasparente come Giovanna Melandri, che tra l’altro lo ha preceduto al Maxxi. Nel 2013 disse: «Lavorerò gratis». Sette mesi dopo, con un gioco di prestigio franceschiniano, il suo compenso diventò magicamente di 91mila euro l’anno più premi. Che speriamo non abbia incassato visto che al Maxxi, dove nominò per l’incarico di segretario generale un profilo a lei “sconosciuto” come Francesco Spano, già docente nelle scuole di formazione del Pd e già suo consulente legislativo, mantenne una media di visitatori di circa 250mila l’anno. Non proprio numeri da «Tate Modern italiana» (imparando dalle sparate di Franceschini, lo disse davvero). Un altro flop mascherato grazie, come sempre, ai fondi del MiC.

In compenso, ebbe modo di proibire la presentazione del film “Girlfriend in a coma” di Bill Emmott. In cui, sempre per caso, si intervistavano Nanni Moretti e Matteo Renzi, livorosi contro il suo padre putativo Massimo D’Alema. Altro capriccio di quest’ultimo fu Massimo Bray, inquilino del MiC con un cv che in confronto il diploma di Giuli vale Oxford: una collaborazione con la Treccani (a lungo presieduta da Giuliano Amato) e una con l’HuffPost di Lucia Annunziata. Altra dalemiana. A chiudere il ciclo dei fenomeni del MiC che dovremmo rimpiangere anche Alberto Bonisoli, che da buon grillino voleva solo abolire. Abolire la storia dell’arte a scuola, abolire le domeniche gratis nei musei, abolire il bonus cultura per gli studenti. Per fare il ministro così i cv a che servono? Siam capaci tutti.

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