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La cura di Pietrangelo Buttafuoco ha riacceso la Biennale di Venezia

Luca Beatrice
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Il completo di cotone chiaro è segno dell’eleganza sobria che contraddistingue Pietrangelo Buttafuoco, il tono di voce misurato, la cortesia innata, il rispetto non formale né di prammatica per l’interlocutore.

Così si aggirava il presidente della Biennale di Venezia in questi lunghi giorni della Mostra del Cinema, presente ma non presenzialista, lasciando spesso il main stage ad Alberto Barbera, il superdirettore che solo un pazzo, uno sciagurato, metterebbe in discussione, visto che in Italia nessuno tranne lui può chiamare al telefono Martin Scorsese o George Clooney e parlarci come si parla a un amico. E infatti il presidente ha confermato il direttore per i prossimi due anni senza informarsi su chi vota, quello lo fanno a sinistra semmai.

E pensare che c’era chi ipotizzava la calata dei barbari anche in Laguna, dopo aver marciato su Roma. Arriva Buttafuoco, dicono piaccia a sinistra, più probabilmente è tollerato in quel finto esercizio di democrazia che loro fanno, affermando «ok, oltre a quei quattro o cinque poi non avete più nessuno», e sarà una rassegna di destra, non inganni la nuova misura istituzionale, e giù a riesumare il vecchio curriculum vitae in cui si evidenziano le simpatie fascio-islamiste, nonché come lo definì Linkiesta «funambolo del radicalismo reazionario».

In termini giornalistici una non notizia, Pietrangelo non ha mai nascosto le sue origini, il suo retroterra culturale. Questo andrebbe spiegato a stampa, opinionisti, commentatori: ciò che penso non ha nessuna rilevanza rispetto a come svolgo il mio ruolo, perché se si applicasse questo criterio dall’altra parte ne faremmo salve alcune buone letture di giovinezza ma non necessariamente la competenza, l’equilibrio, l’educazione. Ho conosciuto e lavorato con tre presidenti. Paolo Baratta, fui curatore del Padiglione Italia in uno dei suoi innumerevoli regni, è stato uno straordinario maestro di cerimonia, politico tattico e scaltro, boiardo di stato, a lui si deve l’indiscusso merito di aver posizionato la Biennale a livello internazionale dove prima non era. Roberto Cicutto, uomo di cinema di sicura empatia, ha spinto verso la strada del politicamente corretto, ora Buttafuoco, voluto da Giorgia Meloni non per un capriccio personale o per mettere una sua pedina ma perché convinta (come noi) del valore intellettuale della persona. Mio Dio, ho usato la parola “intellettuale” per un uomo di destra, ma il mondo va davvero al contrario, un governo di destra guidato da una donna, una persona colta anzi stracolta e non un manager alla guida della Biennale, scelto ancora dalla destra!

 

Eretico temperante, di Buttafuoco apprezzo oltremodo la scrittura complessa e l’oratoria suadente. Mi sovviene la conferenza di apertura in aprile per l’arte contemporanea, vera e propria lectio magistralis da scranno universitario dove altrui si limitavano ai ringraziamenti di prammatica, pur per una mostra non sua, quella di Adriano Pedrosa, voluta dal suo predecessore eppure assunta senza meno. Al contrario non sarebbe mai accaduto. Oppure la condivisione, sempre con Cicutto, del prossimo direttore di architettura che sarà Carlo Ratti, segnale importante, riportare la chiesa al centro del villaggio, restituire lo spazio primario alla cultura italiana seppur di valore internazionale, e sarà certo così anche per l’arte, dove il primo direttore da lui nominato potrebbe essere Vincenzo De Bellis (così dicono i ben informati).

Ma torniamo al cinema. I dati di metà mostra hanno evidenziato +12% tra biglietti e abbonamenti venduti e +23% per la sezione esperienziale Venice Immersive. Che quest’anno ci sia stata tanta gente era evidente al primo sguardo, sul programma ancora una volta sbaragliato Cannes (e vedremo poi all’Oscar se l’ha spuntata il festival italiano e non quello francese), e quelli che facevano il tifo ideologico per una disfatta, quanto meno per un trend negativo, resteranno ancora una volta delusi e lo stesso discorso vale per il numero dei visitatori nei musei, nei luoghi d’arte e per il pubblico nelle sale cinematografiche. Tutti segni positivi, la discesa degli unni non c’è stata, per dirla in francese, “je vous emmerde”.

 

Il pubblico vero, chi decreta il successo di una manifestazione, non boicotta la Mostra del Cinema perché c’è un presidente di destra, anzi. Registi, attori, non rifiutano un invito così prestigioso come gli scrittori “antifascisti” alla Buchmesse di Francoforte, dove peraltro non andrà neppure Buttafuoco che di polemiche, in veste istituzionale, proprio non vuol sentir parlare. La Mostra del Cinema è una corazzata che solca mari e oceani, gioiello della principale fondazione culturale italiana. A guidarla si dice non debba entrare la politica -ovviamente lo dicono ora, prima era lecito- però se la politica sceglie la persona giusta vuol dire che ha svolto bene il suo compito. E Pietrangelo Buttafuoco in questi mesi ha già dimostrato di interpretare molto bene il ruolo di presidente, anche se il meglio deve ancora venire.

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