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Matteo Renzi, non solo Bettini: chi nel Pd lavora per far fuori l'ex premier

Elisa Calessi
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«Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi poi ritornano» cantava Antonello Venditti. Ed è quello che sta accadendo tra Matteo Renzi e il Pd. Di sicuro da parte del leader di Italia Viva, che ha mediaticamente occupato la scena politica estiva del centrosinistra con interviste e uscite pubbliche in cui dichiarava la sua scelta di campo (largo). E in un crescendo di dichiarazioni d’amore, ieri l’ultima prova (niente affatto scontata): l’ex Rottamatore, infatti, si è detto pronto a uscire niente meno che dalla giunta comunale genovese, guidata da Marco Bucci, per dare prova che «non sta in due scarpe» e quindi candidare i suoi a fianco del centrosinistra, nelle elezioni regionali in Liguria, in una lista senza il simbolo di Italia Viva (così da non irritare il M5S). Scelta, come si diceva, non facile, ma che dimostra come Renzi fa sul serio, a costo perfino di scontentare qualcuno tra i suoi.

E il Pd? Cosa dicono i dem? Partendo dal vertice, con Elly Schlein il rapporto è più che disteso. I due si sentono regolarmente e la sintonia, sul percorso, è solidissima. Sembra incredibile per chi ricorda di una giovanissima Elly, europarlamentare dem, che uscì dal Pd nel 2015 proprio in dissenso con la linea dell’allora segretario Renzi. E invece, per uno scherzo del destino, è stata proprio lei il principale artefice di questo riavvicinamento. È stata lei, infatti, a sostenere, subito dopo le elezioni europee, che era “finito” “il tempo dei veti” e che era arrivato «il momento di mettere insieme le nostre differenze attorno a un’alternativa credibile e solida». Tradotto: Elly, che è molto meno naif di quanto qualcuno pensi, ha capito che con il 24% preso dal Pd alle Europee, mettendo insieme tutti i partiti del campo largo, manca poco per arrivare a competere con il centrodestra. Ma quel poco non può che venire dal centro, visto che a sinistra tutto lo spazio è preso. E tutto serve. Come si dice in Emilia a proposito della creatura da cui si fanno prosciutti e mortadelle, non si butta via niente. E Renzi, imbattibile in velocità, si è tuffato nel pragmatismo della sua (ex) “nemica amatissima”.

 

 

 

LEADERSHIP

C’è poi un’altra ragione che cementa il rapporto tra i due opposti, Elly e Matteo: la candidatura a premier del centrosinistra di Schlein. Renzi in ogni sua uscita non ha fatto che ribadire che, se si votasse domani, il candidato premier dovrebbe essere la leader del partito con più voti. Cioè Schlein. E così, altro paradosso, Renzi è diventato il miglior alleato di Schlein per Palazzo Chigi. Una guardia del corpo che la difende anche dal fuoco amico del Pd (come Renzi ha apertamente detto a Pesaro: lui ne sa qualcosa). Renzi serve a Schlein e viceversa.

La vera resistenza è altrove. I mal di pancia sono nello zoccolo più militante degli iscritti (vedi la Festa dell’Unità Reggio Emilia), nella base storica, guardiana dell’eredità Pci-Pds-Ds. Lì non gli si è perdonata la scissione (no salus extra ecclesiam) e gli ammiccamenti alla destra. Non si fidano di uno che ha cambiato tante volte strada. Quanto ai gruppi dirigenti del Pd, in linea di massima il via libera c’è. Si è capito il ragionamento che ha mosso Schlein: se si vuole essere alternativi conviene allargare il più possibile l’alleanza. Certo, con gradazioni diverse. A sinistra, dalle parti di Andrea Orlando e Peppe Provenzano, c’è più resistenza: il timore è che l’alleanza con Renzi finisca per annacquare la radicalità di linea, ritrovata con Schlein. E si teme il tatticismo di Renzi, la disinvoltura con cui si è dimostrato di muoversi.

 

 

 

Spinge, invece, l’area che si è costituita attorno a Goffredo Bettini (di cui fanno parte Matteo Ricci e Roberto Gualtieri), principale teorico della necessità che il Pd si allei da una parte con il M5S, dall’altra con un centro moderato. Ma con un Renzi dietro le quinte. Per Bettini sarebbe meglio una Margherita 2.0 con altri volti, per non mettere in difficoltà Giuseppe Conte (che per Bettini resta interlocutorio necessario). Base riformista teoricamente è a favore. Anche se in molti, pur non dichiarandolo, temono che la presenza di Renzi renda marginale la presenza di un’area riformista nel Pd. Matteo Orfini e i suoi sono tra i favorevoli e addirittura non sarebbero contrari a un ritorno del Rottamatore nel Pd. In tutto questo, Renzi procede, giocando di velocità. Alla Festa dell’Unità di Pesaro si è ingraziato una platea alla fine entusiasta. E giovedì 5 a Roma farà un evento pubblico per spiegare le ragioni della sua scelta di ritorno nel centrosinistra.

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