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Germania, la deriva progressista altera le verità scomode sui migranti

Daniele Capezzone
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I lettori di Libero arrivano preparatissimi a questo appuntamento con lo spettacolare collasso tedesco che è sotto i nostri occhi, circostanza che ovviamente non ci rallegra (solo gli stolti potrebbero felicitarsene), ma che nemmeno ci coglie di sorpresa, come anche oggi spiega bene Sandro Iacometti: collasso economico, collasso finanziario, collasso industriale, collasso politico.

Semmai – ma questa è materia per un altro approfondimento – sarebbe istruttivo sentire l’opinione di chi per anni ci ha ammorbato con la tesi della “locomotiva tedesca”, spiegando che per l’Italia non ci sarebbe stato altro futuro e altro destino se non come un vagone da aggregare al treno guidato dai ferrovieri germanici. Lungi da noi negare il rapporto – forte e in qualche caso decisivo – tra le esigenze dell’industria tedesca e una parte significativa dell’export italiano.

 

 

 

E tuttavia va constatato che, diversamente dalle previsioni delle nostre prefiche, la malattia economica tedesca non ha contagiato l’Italia in questi mesi, e che il nostro tessuto economico ha mostrato una vitalità e un’autonomia che troppi cosiddetti “esperti” negavano. Ma non divaghiamo e torniamo alla crisi tedesca: ecco, nella débacle in atto a Berlino, un ulteriore collasso riguarda il rapporto con la verità, la capacità di chiamare le cose con il loro nome. Malattia progressista transnazionale e globale, si dirà: vero, ma il virus ha colpito la Germania in modo profondo e grave.

Ne volete una prova? Dopo l’agghiacciante atto di terrorismo compiuto nei giorni scorsi da un rifugiato, cos’ha dichiarato ieri – evocando un pacchetto di misure restrittive sull’immigrazione – il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz? Eccolo qua: «Serve subito un giro di vite sulle armi». E così – oplà – il problema si sposta magicamente dall’assassino al coltello, dal terrorista all’arma che ha usato, dall’intenzione omicida al mezzo materiale utilizzato. Purtroppo non si tratta di un inedito assoluto. Per anni, ad esempio, davanti ai casi dei terroristi islamici che usavano un veicolo per travolgere persone innocenti, abbiamo dovuto leggere titoli lunari del tipo: «Auto sulla folla».

Come se una macchina avesse deciso autonomamente di compiere una strage, come se una vettura – per volontà propria – avesse pianificato e realizzato un omicidio plurimo. Stavolta, in Germania, dev’essere stato il coltello a uccidere, mica chi lo impugnava. Qualcuno dirà che esageriamo, che siamo ipersensibili o ipercritici. E invece no: questo modo di esprimersi tradisce un modo di pensare.

E queste attenuazioni, queste perifrasi, questi slittamenti del focus dal soggetto (il terrorista) all’oggetto (l’arma) sono manifestazioni neanche troppo subliminali di una strategia della negazione. Denial strategy, dicono gli anglosassoni: negare, non voler vedere, chiudere gli occhi, fare gli struzzi davanti a una realtà sgradita, nella speranza che essa svanisca per magia, sollevandoci dall’onere e dal dolore della comprensione.

Ad esempio, ancora in troppi – soprattutto a sinistra, ma non solo – sottovalutano il filo che può legare l’immigrazione fuori controllo all’arrivo anche di soggetti radicalizzati o radicalizzabili, così come il nesso che collega gli eventi in Medio Oriente (il tentativo islamista di distruggere Israele) con gli appelli fondamentalisti che di tanto in tanto si ripetono a portare il jihad anche qui, nelle nostre capitali, di volta in volta attraverso cellule organizzate o gruppi “fai date”, attraverso militanti superaddestrati o lupi solitari.

C’è in troppi la convinzione che certi fenomeni possano essere “gestiti” senza fare granché; o che la grande massa di soggetti segnalati in Europa come radicalizzati possano essere oggetto solo di una blanda vigilanza, salvo poi scoprire (com’è successo molte volte in Belgio e in Francia) che gli autori delle stragi erano già ben conosciuti, ma erano rimasti sostanzialmente indisturbati. Guai a parlare di espulsioni, guai a sostenere le ragioni di una precauzione attiva allontanando chi potrebbe colpire: le nostre anime belle si inalberano.

E negano. Ma è questa negazione pervicace e ossessiva che deve preoccuparci tanto quanto il terrorismo in sé: anche perché sia i registi che le comparse del terrore contano esattamente su questo, e cioè sul fatto che in Europa e in Occidente ci siano molti sonnambuli. Letteralmente, gente che cammina nel sonno: e che forse non è più in grado di svegliarsi.

 

 

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