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Politica, cos'è la destra, cos'è la sinistra. E cosa vogliono gli elettori

Francesco Storace
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Prima o poi bisognerà scrivere il manuale sulla destra che non deve sbagliare mai. Perché ha di fronte un elettorato che non è bene sfidare, stuzzicare, schiaffeggiare: si tratta di tantissimi uomini e donne che poi i ceffoni teli restituiscono nelle urne. Musicava Giorgio Gaber, su cosa è la destra e cosa è la sinistra: «Le scarpette da ginnastica o da tennis hanno ancora un gusto un po’ di destra ma portarle tutte sporche e un po’ slacciate è da scemi più che di sinistra».

Ecco, evitare di farsi riconoscere. In questi giorni campeggia la polemica sullo ius scholae, con gran protagonista Antonio Tajani, a cui voglio un gran bene per decenni di battaglie spalla a spalla, nel bene come nel male. Ma anche lui faccia attenzione. Era luglio 2022 – pochi mesi prima delle politiche vittoriose – quando scrisse: «Ius Scholae, la sinistra porta avanti battaglie divisive e si dimentica di difendere lavoratori e imprese. Basta capricci ideologici, altrimenti si rischia di far cadere il governo». Letto, confermato e sottoscritto. Perché cambiare idea dopo le elezioni e non prima?

 

 

 

Flash. Fini era candidato sindaco di Roma contro Rutelli, nel 1993. Trovò un paio d’ore di pomeriggio e andò al cinema per distendersi un po’, con lui l’inseparabile amico Andrea Ronchi. Fecero la fila per entrare, alla destra di Fini apparve un omaccione che gli strinse la mano quasi a far male e gli disse: «Segreta’, vincemo e poi basta co ‘sti immigrati». Quasi contemporaneamente, sulla sinistra, gli si affiancò una monachella. La suorina gli disse, con voce delicata: «Onorevole, mi raccomando l’accoglienza per i migranti».

Ovvero, due persone opposte che votavano con idee alternative tra loro lo stesso candidato. La politica, essere capace di unire anche chi non si accosterebbe mai all’altro. Diceva Ignazio La Russa alla minoranza “rautiana” nel Msi: «A voi piace stare nella casella sbagliata». Cioè, la voglia di stupire che poi ti porta fuori strada, magari. Quel popolo di destra – o centrodestra, chiamatelo come volete – non va fatto incazzare. La persecuzione giudiziaria contro Berlusconi lo ha trasformato da forcaiolo in garantista, ma non è che si facciano salti di gioia ogni volta che qualcuno dei “nostri” viene pizzicato.

Bisogna rispettare i valori, le ansie, le speranze di quel popolo. Fa ridere – e perde – una sinistra ossessionata dal fascismo. Pensano davvero, Schlein e compagnia, che da queste parti si rimpiangano le leggi razziali o l’alleanza con Hitler? O ancora, permanga una vocazione totalitaria? Non hanno capito nulla. Al massimo, la nostalgia è per una legislazione sociale che pose l’Italia all’avanguardia tra le due guerre, per il sogno di veder trionfare la meritocrazia a scuola e nel lavoro. Ora, uscirsene con lo Ius Scholae è un fuor d’opera. Qualcuno ritiene che ci sia un filo conduttore tra le polemiche e la famiglia Berlusconi in Forza Italia, visto che l’acceleratore sui diritti – mai sui doveri – è spinto al massimo della potenza. Possibile mai, dopo aver visto Silvio all’opera? $ da castigare Salvini persino per quell’intitolazione della Malpensa al Fondatore azzurro? E chi ci doveva pensare, Pichetto Fratin? Ci vuole armonia, altro che rivendicare diritto di parola se-non-c’è-scritto-nel-programma. E mica è un motivo per fare a botte.

 

Fini e Berlusconi se le diedero di santa ragione, alla fine. In premessa, ci furono le micce sulla procreazione assistita, sul voto agli immigrati, sulla giustizia. E sui diritti civili. Se ne avessero parlato prima di ogni elezione, uno perdeva e l’altro vinceva. Ma lo facevano dopo... Quel nostro popolo è stato invece ben inquadrato da Daniele Capezzone nel suo Basta co’ ‘sto fascismo (che ho divorato; il libro, non lui). Vuole che si parli, risolvendo però, di tasse, di sicurezza, di giustizia e giustizia sociale. Se ti sposti di casella, ti punisce irrimediabilmente. $ accaduto. Successe quando Gianni Alemanno pencolava verso Mario Monti. Quando Berlusconi e Tajani – a Roma- preferivano Alfio Marchini a Giorgia Meloni convincendo pure noi della “destra sociale”. Lo stesso Fini, prima del gran casino che lo vide fuggitivo dalla coalizione, arrivò addirittura a comiziare a Milano per Futuro e Libertà con Pezzotta e Rutelli, quanto di più lontani potessero esserci.

Anche per me arrivò il capitombolo. Fondammo La Destra – che fu comunque una meravigliosa esperienza comunitaria – e ci illudemmo, allora contro Fini, di prendere i voti di quelli che negli anni sentivamo urlare «Fini, Fini, il nuovo Mussolini». No, non erano fascisti postdatati, ma elettori stufi di una politica immobile e a caccia del capo. Ma non ci votarono, perché il nuovo Capo si chiamava proprio Silvio Berlusconi. Oggi, la stessa sindrome potrebbe capitare a Roberto Vannacci, ma il generale pare voler mantenere il patto che ha stretto con Salvini. La caduta di cavallo ha rovinato pure la strada di Angelino Alfano, innamorato di Matteo Renzi. L’elettorato tradizionale non lo perdonò. Idem per Marco Follini, a sinistra con la sua Udc, che ora vede il suo maggiore cavallo di razza fermo nella scuderia del Pd: Pierferdinando Casini.

Occhio all’errore, dunque. Giorgia Meloni pare averlo capito e si è fermata un millimetro prima della carezza della sinistra che poi ha surclassato al fotofinish. Se proprio non si vuole capire come non sbagliare, affidiamoci al vocabolario anche se il nostro popolo conosce meglio dei suoi leader la differenza tra destra e sinistra: il sinistro è l’incidente, il destro è l’occasione. Perché sciuparla... Pulitele, quelle scarpe da tennis e correte lungo il sentiero della coerenza.

 

 

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