L'opposizione vuole carceri meno affollate e poi denuncia Nordio in tribunale
A meno di imprevisti, oggi (o al massimo domani) il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dovrebbe firmare il disegno di legge Nordio, quello che contiene, tra le altre cose, l’abuso d’ufficio. Firma attesa dal 10 luglio, quando il Parlamento lo ha approvato in via definitiva, motivo per cui- oltre alle lamentele dei penalistisi sono rincorse voci secondo cui Mattarella avrebbe avuto dubbi rispetto all’abolizione del reato di abuso di ufficio. Letture respinte seccamente dal Quirinale, dove si fa notare che il vaglio del presidente (e degli uffici) rispetto a ogni provvedimento è sempre attento, specie se riguarda una materia così delicata.
Ma mai sconfina nel terreno che spetta al governo, ossia quello delle scelte politiche. Dunque non c’era alcuno scontro. Solo un esame accurato del testo. Vero è che la cancellazione dell’abuso d’ufficio, chiesta a gran voce dai sindaci di tutti gli orientamenti politici, è stata in questi mesi sotto la lente di più istituzioni. Il Quirinale, ma anche la Commissione europea. A sbloccare le perplessità, però, sarebbe stata un’altra norma che è stata inserita nel decreto Carceri, promulgato proprio ieri da Mattarella (e approvato in via definitiva dal Parlamento il giorno prima). Il decreto Carceri, infatti, oltre a proporre un pacchetto di riforme per rafforzare la sicurezza e l’efficienza degli istituti penitenziari, introduce nel codice penale una disposizione che si aggiunge all’articolo 314 del Codice penale: il peculato per distrazione.
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L’intento, come si legge nel comunicato del Consiglio dei Ministri, è quello «di chiarire definitivamente (in urgenza) la punibilità delle condotte di peculato per distrazione», introdotto con il Codice Zanardelli nel 1889, modificato con il Codice Rocco del 1930 e, poi, abrogato con una legge del 26 aprile 1990. Il nuovo articolo introdotto dal decreto (il 314-bis) punisce il delitto di «indebita destinazione di denaro o cose mobili». In pratica è a metà tra il peculato (articolo 314) e l’abuso d’ufficio (323). La premessa è che si abbia, per il servizio o il ruolo ricoperto, la disponibilità di denaro o di altra «cosa mobile» che appartiene ad altri. La condotta punita consiste nel «destinare» (distrarre) il bene per un uso diverso da quello previsto dalla legge. Sono però esclusi, come «beni da distrarre», i regolamenti, le circolari o le delibere. In sostanza ricalca l’abuso d’ufficio, ma lo delimita al denaro, non ad atti o delibere. In questo modo si evita quella indeterminatezza che era propria, invece, del reato di abuso di ufficio e che aveva portato tanti amministratori ad aver paura di firmare qualunque atto. Ma non viene meno il reato di chi usa male il denaro pubblico. In questo modo sarebbero venute meno le obiezioni della Commissione Ue così come quelle (eventuali) del Quirinale. Intanto il tema delle carceri incendia il dibattito politico. Roberto Giachetti, deputato di IV, con Rita Bernardini, Sergio D'Elia e Elisabetta Zamparutti, esponenti di “Nessuno tocchi Caino”, hanno presentato un esposto-denuncia contro il ministro della Giustizia Carlo Nordio e i sottosegretari Andrea Delmastro e Andrea Ostellari per «la gravità della situazione» in cui versano le carceri. Altra polemica, poi, ha riguardato il ministro Guido Crosetto, per un “retweet” messo a un post di Enrico Costa, in cui il deputato di Azione sottolineava i 28 giorni trascorsi dal voto definitivo per abrogare l’abuso d’ufficio senza che sia arrivata la firma di Mattarella. Ieri Crosetto, in un lungo post, ha replicato a chi lo aveva interpretato come un attacco al Quirinale: «Non attaccherei mai Mattarella, che considero un pilastro della nostra nazione», ha spiegato. Ha poi ricordato che spesso approva le «riflessioni garantiste» di Costa. «Anche quando non è stato tenero nei confronti dell’esecutivo di cui faccio parte o, ancor prima del governo Meloni, quando aveva una linea diversa da quella di Fdi su alcuni temi della giustizia». E ancora: «Crosetto quando vuole attaccare lo fa direttamente, non usando parole di terzi».