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Brugnaro alla gogna, come proveranno a umiliarlo alla festa del cinema: l'agguato della "democratica" sinistra

Pietro Senaldi
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C’era un’Italia, ipocrita ma anche dignitosa e ancorata a solidi valori, dei panni sporchi che si lavano in famiglia. E oggi c’è un’Italia, che va da Genova a Venezia tanto per fare un esempio, ancora più ipocrita ma in compenso senza amor proprio e totalmente priva di scrupoli quando si tratta di raggiungere l’obiettivo, dei panni puliti che si mettono in piazza per lordarli meglio. Con la piazza che, da agorà, luogo principe dove si esercita la democrazia, diventa bolgia medievale, palcoscenico giustizialista, dove il popolo viene convocato per applaudire al taglio della testa del rivale politico, truccato all’occorrenza da delinquente.

Da Genova a Venezia, si diceva.Scenari simili: un’amministrazione di centrodestra che funziona, un governatore senza partiti alle spalle, forte della sua storia e delle sue capacità, un voto tra un anno che la sinistra avrebbe perso, incapace di soluzioni e programmi alternativi, schiantata da uomini del fare che hanno cambiato faccia alle loro terre, prigioniera della propria inconcludenza e di una storia locale di inefficienza di cui non riesce a liberarsi. In Liguria il presidente del centrodestra, Giovanni Toti, dopo nove anni in cui ha risvegliato una Regione in stato d’abbandono e che pareva destinata a un’inevitabile decadenza, è stato abbattuto a colpi di magistratura.

 

 

La vicenda è arcinota: l’accusa di corruzione per finanziamenti pubblici regolarmente dichiarati, l’interessarsi agli affari e allo sviluppo del porto processati come una colpa e gli arresti domiciliari prolungati senza neanche il rinvio a giudizio, mirati all’ottenimento delle dimissioni, e fatalmente terminati quando queste sono state rassegnate. In mezzo, tre mesi in cui la sinistra, forte dell’inchiesta dei giudici, attacca il presidente eletto e chiede, in nome della democrazia, il voto anticipato. Con tanto di manifestazione di piazza sotto il palazzo della Regione, perché in certi ambienti, evidentemente, democrazia è che quando un giudice ti punta, te ne devi andare senza poter difenderti restando al tuo posto.

A Venezia, contro il sindaco Luigi Brugnaro, alleato di Toti e, come lui, un civico d’area che si è distinto per aver cambiato il volto all’istituzione che amministra, si è aperta un’inchiesta. L’accusa è sempre corruzione. Qui, a differenza che in Liguria, il bersaglio non è stato arrestato, perché non c’è neppure una mezza intercettazione critica a cui impiccarlo, neppure un euro di finanziamenti regolari da taroccare come prezzo del reato. Brugnaro è solo indagato. È stato arrestato, con l’accusa di tangenti, un suo assessore, Renato Boraso, una vicenda processuale diversa, ma che viene legata a quella del sindaco per far trambusto, per mischiare nel caos innocenti certi e colpevoli per ora solo presunti. Si usa Boraso per attaccare Brugnaro, perché contro lui c’è poco o nulla.

Nella fattispecie, il sindaco è accusato di aver avuto trattative, otto anni fa, con un miliardario di Singapore che ha già investito in Laguna, per la vendita di una vasta area fuori città, chiamata Pili, da riqualificare, che lui ha acquistato prima di entrare in politica, nel 2005, all’asta per 5 milioni di euro. Non la voleva nessuno. In caso di bonifica dei terreni e di una loro maggiore edificabilità, l’asiatico avrebbe comprato a una cifra importante, forse 80 milioni. Non se ne è fatto nulla, nessun procedimento in Comune è stato avviato in questi anni per la riqualificazione e per di più nel frattempo il sindaco ha fatto un passo indietro rispetto alle proprie società, affidandole a un comitato di manager e professionisti che le gestisce senza riferirgli, tecnicamente un blind trust.

Brugnaro è sconcertato, in lacrime fa un lungo intervento in Consiglio Comunale per difendersi, dove lamenta, tra l’altro, di non essere ancora stato messo in grado di leggere le novecento pagine che lo accusano, finite invece nelle mani della stampa che lo attacca. Oggi il sindaco velista salperà per le vacanze, con la coscienza leggera ma l’anima pesante, senza portarsi le carte per non rovinarsi le vacanze. Al rientro però lo attendono i forconi dell’opposizione, pronta a infangare l’immagine della città, anche a livello internazionale, pur di riconquistarla.

A menare il torrone per la sinistra in Laguna è il consigliere comunale Giovanni Andrea Martini, piddino della peggior risma, che bolla l’autodifesa del sindaco come «una sceneggiata, cinema di serie B» e si appresta a replicargli con una farsa. Il tapino sta organizzando una mobilitazione durante la Festa del Cinema, al Lido dal 28 agosto al 7 settembre, «per far sapere al mondo in quale spazzatura è stata trascinata la nostra città».

Il processo deve ancora iniziare ma i dem hanno già emesso la loro sentenza di condanna e la vogliono offrire sul grande schermo planetario come una cartolina della città.Farsi male, fare male a tutti, sputtanarsi senza motivo perché forse al rivale fa ancora più male, questa la filosofia di Martini.Ancora una volta, il tentativo di infangare e demolire le istituzioni per appropriarsene, approfittando di una sponda giudiziaria. Alcuni lo chiamerebbero golpe, per i progressisti è difesa della democrazia; solo della loro, però.

 

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