Toti si dimette? Le prime parole di Elly Schlein: "Doveva farlo prima"
Una «sconfitta della giustizia» e «della politica» (Crosetto). Un tentativo di «sovvertire il voto popolare» (Lega). Un atto dovuto (Schlein e Conte). «Indegno» (Calenda), è la vittoria dei «giustizialisti» (Renzi). Di fronte alle dimissioni di Giovanni Toti da presidente della Liguria, dopo tre mesi agli arresti domiciliari, gli schieramenti tornano a diversi. E - sorpresa - anche il nuovo campo largo (quello che va da Renzi a Conte passando per Fratoianni e Bonelli) si sfarina. A conferma che la giustizia, come la politica estera, restano temi su cui le distanze nel centrosinistra sono ancora ampie.
Il primo commento, durissimo, arriva dalla Lega: «In Liguria», si legge in una nota, «siamo di fronte all'ennesimo tentativo di sovvertire il voto popolare usando inchieste e arresti». Subito dopo interviene un avversario del centrodestra, Carlo Calenda, ma altrettanto critico: «Toti è un nostro avversario. La valutazione sulla sua gestione è negativa». Ma «forzare le dimissioni di un governatore attraverso l'imposizione di misure cautelari a pioggia è indegno di uno Stato di diritto». Non la pensa così Angelo Bonelli, coordinatore di Avs, secondo cui «le dimissioni di Toti erano un atto politicamente dovuto». Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, il soggetto di cui fa parte anche Toti, «queste dimissioni impongono una riflessione a tutto il mondo giudiziario, alle istituzioni, alla politica, sull'uso della carcerazione preventiva». Maurizio Gasparri, Fi, sottolinea «la pressione della magistratura».
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Ma più forte ancora è il giudizio di Mariastella Gelmini, ex Fi ora in Azione, secondo cui la scelta di Toti è «l'effetto devastante di una misura di custodia cautelare che si è trasformata in uno strumento politico. E questo senza che sulla colpevolezza di Toti sia stata emessa una condanna neppure di primo grado». Matteo Renzi, leader di Italia Viva, che proprio in Liguria è atteso da Elly Schlein alla prova di sincerità della sua conversione (accetterà di sostenere il probabile candidato del centrosinistra, Andrea Orlando?), va all’attacco dei compagni di Toti: «La verità», scrive nella sua e-news, «è che i giustizialisti sono forti anche a destra. Perché è evidente che Toti sia stato abbandonato dai suoi colleghi di coalizione». Si confermano garantisti i Radicali italiani, secondo cui siamo di fronte a «una pagina nerissima per la democrazia», «uno sfregio al garantismo», «indegno per un paese civile».
Diversissimo il giudizio del Pd: «Finalmente», ha commentato Elly Schlein, «Giovanni Toti si è dimesso, anche se con molto ritardo. Sono passati 80 giorni in cui la Liguria è stata ferma, paralizzata, tenuta ai domiciliari con lui. È l'occasione per ridare la parola ai cittadini, per le forze alternative alla destra di costruire un progetto che guardi al futuro». Giuseppe Conte si allinea a Schlein, anche se non affonda il colpo (forse la sua formazione di avvocato lo trattiene): «Non si può pensare di governare una Regione dagli arresti domiciliari. Lasciamo che la vicenda giudiziaria, che ha regole, dinamiche, logiche completamente diverse, faccia il suo corso».
Se Giovanni Donzelli, coordinatore di FdI, ringrazia Toti per il lavoro svolto, Tommaso Foti, capogruppo FdI alla Camera, osserva che «la democrazia ne esce ferita». Ma dal centrodestra il giudizio più affilato viene dal ministro Guido Crosetto: «Un cittadino incensurato e tutt’ora innocente si è dovuto dimettere per poter sperare di essere libero e poter ottenere nuovamente i suoi diritti costituzionali. Da questa vicenda», osserva, «esce sconfitta la Giustizia e si palesa una rattristante debolezza della Politica, quella con la P maiuscola, quella che sa difendere i principi e non solo gli amici più prossimi o i cerchi magici». Conclude, notando come ci sia «troppa sudditanza, quasi paura, nei confronti di un potere dello Stato che non dovrebbe incutere alcun timore alle persone oneste. Forse»,termina, amaro, «perché sanno che in Italia non basta essere onesti per sentirsi tranquilli». Durissimo anche il commento del leghista Gian Marco Centinaio: «Politicamente non posso accettare che la magistratura gli abbia imposto di scegliere tra la libertà e il rispetto del mandato degli elettori».