Joly aggredito da CasaPound, a La Stampa non leggono quello che scrivono
Queste righe nascono da un dibattito avuto ieri in tv con il direttore della Stampa Andrea Malaguti, a cui mi rivolgo per completare, carte alla mano, il nostro confronto. Caro direttore, chiarisco subito che questo non è un attacco alla Stampa, né ai bravi giornalisti e collaboratori della testata che tu giustamente difendi con vigore, né, ci mancherebbe, alla libertà di informazione, di cui a Libero siamo i primi e più accaniti sostenitori.
La mia intenzione è solo quella di onorare un impegno che, come potranno testimoniare i telespettatori di Rai3, ho preso ieri mattina durante la trasmissione Agorà. Trovando un po’ surreale che il dibattito sulla vile aggressione ad Andrea Joly si fosse repentinamente spostato dall’episodio di violenza, che è il fatto da perseguire, da condannare con fermezza e di cui discutere, alle parole di Ignazio La Russa, ho semplicemente ritenuto opportuno sottolineare che tra la evitabilissima annotazione del presidente del Senato (poi chiarita da lui stesso) e il pestaggio ci sono stati in mezzo due giorni in cui molti giornali, compreso quello da te diretto, hanno tentato di accostare le azioni commesse da un gruppo di balordi di CasaPound al governo in carica, sostenendo, in sintesi, che i neofascisti hanno rialzato la testa perché c’è Giorgia Meloni a Palazzo Chigi e pensano di potersi muovere in un contesto di impunità. Apriti cielo. Nulla di tutto ciò, hai tuonato, è stato mai scritto sulla Stampa. E dopo avermi spiegato che leggi e controlli tutto, mi hai sfidato a citare un articolo incriminato. Ammetto che su due piedi non ho saputo risponderti. Malgrado il grande rispetto che porto alla testata, non ricordo gli articoli a memoria a giorni di distanza. Ho promesso, però, che avrei dato prova di quanto dicevo. Ed eccomi qua.
Devo confessare che non c’è voluto molto. Il primo commento che conferma la mia tesi è anche il primo che si può trovare in prima pagina il 22 luglio, il giorno dopo l’aggressione, quello di Marcello Sorgi. Dopo aver accostato CasaPound alla Gioventù Nazionale, la formazione giovanile di Fdi, l’editorialista della Stampa analizza il fallimento del messaggio inviato dalla premier al partito, «che è stato considerato qualcosa di obbligato, ma che non può intaccare la scorza dura dei sentimenti: intesi appunto come la nostalgia fascista e la violenza che del fascismo ha sempre fatto parte». E già qui si potrebbe obiettare che l’inchiesta di Fanpage, pur con tutti i gravi comportamenti che ha fatto emergere, non ha mai dato notizia di alcun episodio di violenza tra i ragazzi di Gioventù nazionale. Ma vabbè, andiamo oltre. «In un certo senso», scrive Sorgi, «è avvenuto il contrario: che certi modi fare nascosti o ritenuti clandestini, adesso è come se si considerino liberati dal ruolo di Fratelli d’Italia». Se l’italiano non è un’opinione, la ramanzina della Meloni ai suoi avrebbe incoraggiato la sfrontata violenza del gruppo di CasaPound.
Accanto al commento di Sorgi c’è un simpatico “Graffio” firmato da Francesca Paci, la quale si dedica a Telemeloni, nella fattispecie il Tg1 diretto da Gian Marco Chiocci, che non solo aspetta ben 10 lunghissimi minuti prima di dare la notizia, ma poi la condisce addirittura con dichiarazioni di CasaPound secondo cui «il giornalista avrebbe prima spintonato i camerati e creato un battibecco». Insomma, conclude la Paci, secondo il Tg1 «pur di portare a casa un reportage contro la boria impunita dell’estrema destra provoca, ardito, i camerati in festa». La giornalista della Stampa suggerisce che per ottenere lo stesso scopo, ovvero «raccontare la legge fascista del più forte», a Joly «sarebbe bastato seguire certi Tg». Qui la traduzione è più difficile, ma sembra di capire che il Tg1 sia peggio di CasaPound.
Nella stessa passante c’è anche un indignato articolo dell’ex magistrato Giancarlo Caselli il quale non si accontenta delle condanne bipartisan. A queste devono seguire «(soprattutto da parte di chi maggiormente può e conta sul piano politico-organizzativo del settore interessato) fatti concreti». Caselli vola alto. Ma non ce ne voglia se a qualche lettore disattento il settore interessato possa sembrare quello dell’estrema destra e chi più conta sul piano politico-organizzativo il partito della Meloni.
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Ce ne sarebbe abbastanza per rinnovarti il mio invito, fatto già durante la diretta tv, a controllare con maggiore attenzione ciò che viene scritto sul tuo giornale (non mi permetterei mai di insinuare che tu abbia mentito sapendo di mentire). Ma il 23 luglio, a due giorni dall’aggressione, sulla Stampa esce una roba di cui probabilmente è arrivata notizia anche agli uscieri. Il grande ex magistrato e scrittore di successo Gianrico Carofiglio viene intervistato nientemeno che da Andrea Joly. Richiamo in prima e paginata interna. Carofiglio, da par suo, ci spiega che quanto accaduto non «è un banale episodio di prepotenza». Eh no, perché c’è il «contesto». Ovvero «una sottocultura politica in cui la violenza è una componente rilevante». Per carità, dice lo scrittore, «nessuno si sogna di dire che questi atti di violenza siano legati al governo». Ma? «Ma certo ci sono politici di massimo rilievo che non sono capaci di chiamare le cose con il loro nome. Così non si contrasta quel contesto». Vi semplifico: i leader di Fdi sguazzano nel “contesto”, alimentandolo, per interessi elettorali, con le loro «afasie». Semplificando ancora, con la paura di definire fascisti certi comportamenti e di definire loro stessi antifascisti. Il cerchio si chiude. Ciò che ti dovevo, direttore, pure.