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TeleMeloni e censura? Prima della Meloni l'Italia era messa peggio: ecco i numeri

Marco Petrelli
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Noi italiani abbiamo sempre avuto un brutto vizio: impegnarci poco al cambiamento in Patria e lamentarci, molto, dei nostri problemi all’estero. Anche quando quei problemi non ci sono… come la questione della libertà di stampa che, con la destra al governo, sarebbe secondo alcuni minacciata. E’ proprio così?

Fra le organizzazioni internazionali che si occupano di libertà di stampa c’è la francese Reporters Sans Frontières   che, ogni anno, stila una lista dei paesi più e meno virtuosi nel garantire rispetto e indipendenza all’informazione.

Ad oggi l’Italia copre la 46° posizione: non proprio un vanto anzi, ci sarebbe bisogno di maggiore impegno per conquistare un podio più gratificante. Ma, c’è un ma: come eravamo messi prima del governo Meloni?

Il report 2016 di RSF ci posizionava al 77° posto. Allora a guidare l’esecutivo c’era Matteo Renzi, (Partito Democratico) ed eravamo trentuno posizioni indietro rispetto ad oggi e oltre cinquanta rispetto al 2002 quando, in pieno governo Berlusconi II, RSF ci classificava 24°.

Nel lasso di tempo compreso tra la fine del quarto governo Berlusconi ed il 2013, siamo passati dal 49° posto al 61° del 2012, per poi risalire la china fino al 57° nel 2013. Poi, dopo la parentesi “77”, con Giuseppe Conte e gli alleati M5S e Lega siamo riusciti a riposizionarci prima al 43° poi al 46° posto. 

Le cose sono di nuovo peggiorate nel periodo dell’emergenza Covid-19 e della crisi Ucraina: nel 2020 RSF poneva il Bel Paese al 57° posto, 58° nel 2022. Il ritorno a quote più basse si registra nel 2023 e nel 2024: 41° e 46° posto.

Sì, d’accordo, la libertà non si esprime solo in numeri né una sola fonte può essere completamente esaustiva ma, essendo RSF piuttosto autorevole, le indicazioni contenute nei report impongono un ridimensionamento, almeno parziale, della situazione ai limiti della censura descritta da alcuni giornalisti nostrani, strappando altresì un sorriso verso chi si ostina a chiamare la Rai “Tele Meloni”.

Alla luce dei dati sopra esposti e forti di una memoria finalmente libera da pregiudizi, dovremmo anche rileggere più criticamente il cosiddetto “ventennio berlusconiano” durante il quale non c’è poi stata una così grande inosservanza del diritto di parola. Semmai, sono le posizioni intransigenti (e poco avvezze al dissenso) espresse da buona parte del mainstream su pandemia e cause della guerra in Ucraina che avrebbero dovuto spaventarci.

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