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Per i compagni non si gioca a calcio con i fascisti

Francesco Specchia
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«Il calcio è il regno della lealtà umana esercitata all’aria aperta...». Dovrebbero leggersi l’epica calcistica di Antonio Gramsci issato a modello di vita da Osvaldo Soriano (a sua volta poeta del cuoio pallonato), quegl’illivoriti compagni che l’altro giorno si son messi a strattonare la partita del cuore tra Nazionale Politici e Nazionale Cantanti, giocata a Pescara per dare respiro finanziario all’Ospedale pediatrico Bambin Gesù. «Lealtà umana», in senso gramsciano, significa esaltare il gesto della beneficenza e offrire una tregua alla ferocia dell’ideologia.

Ora, capisco che sia di difficile comprensione, per chi possiede la supervista antifascista e vede busti littori, orbaci e olio di ricino oltre lo spettro ottico comune. Capisco, anche, che, coerenti al loro ruolo di Simon Wiesenthal di Twitter, ben quattro intellettuali indomiti si siano indignati, nell’osservare politici di destra e sinistra riunitisi per una buona causa in un gesto raro, e in un campo lunghissimo quanto quello da gioco.

Capisco il loro scatto stizzoso di reni. Eccolo, infatti, il Paolo Berizzi, ottimo cronista qui a Libero passato a Repubblica, inesausto cacciatore di fasci littori, scrivere: «Capisco la solidarietà e tutto ma per fare beneficenza agli ospedali non è obbligatorio giocare a calcio e sganasciarsi dal ridere con dei fascisti, amici di Vannacci e gente che manganella dentro e fuori la rete. Alla prossima su via Rasella tiriamo fuori il pallone?». Ed ecco, immediatamente, fargli eco, l’Alessandro Robecchi, autore tv, penna del Fatto Quotidiano, con eloquio raffinatissimo: «Giochi a pallone con Gasparri, Renzi, Giorgetti? Non hai capito un cazzo, con quelli non si beve nemmeno un caffè. Lo fai per beneficenza a un ospedale? Non hai capito un cazzo, gli ospedali si finanziano con le tasse, magari tagliando le spese militari #PartitaDelCuore». Dappresso, ecco subito intervenire, paonazzo, Filippo Barbera il prof di Sociologia economica e del lavoro presso l’Università di Torino: «Se c’è rischio fascismo non ci giochi a calcetto. Non ci bevi il caffè. Non ti dai pacche sulle spalle». Infine, ecco a chiosare il tutto, col solito colpo di teatro, il rettore di Siena Tomaso Montanari: «Sottoscrivo ogni parola... come non capire che il messaggio che passa è che è tutto un teatro, i cui attori poi sono pappa e ciccia anche quando in pubblico si trattano come pericoli per la democrazia...». Come non capire.

Ora, io capisco la foga dei nostri fantastici quattro. Capisco ma non giustifico. Il calcio, gramscianamente appunto, è un falò di cuori accesi all’unisono, è la frenesia del gioco di squadra, è il segno di una fiammeggiante pacificazione. «Pacificazione» è la parola giusta.

Era la pacificazione il fil rouge che legava le istantanee di quella Partita del cuore. Mai visti i politici così sinceri. Elly che abbraccia l’ex nemico Matteo dopo il passaggio-gol filtrante, alle pendici dell’aera di rigore infilandosi in un’insopprimibile Il post del giornalista di Repubblica Paolo Berizzi metafora sul campo largo. Boccia centravanti alla Vieri che incrocia con Lupi e passa la palla alla Ronzulli. La tentata rabona di Fratoianni che segna ma si distorce il ginocchio da solo, e l’allenatore La Russa gli affibbia un «8 per essersi immolato alla causa». Conte che in campo frulla come un vecchio centromediano metodista. La Russa che tira il rigore al portiere Bonelli. Un 7 a 7 molto democristiano, direi forlaniano, almeno fino ai supplementari.

Alessandro Cattaneo che gioca solo cinque minuti e ironicamente commenta «come tutti i politici m’infilo all’ultimo momento nella foto con la Coppa...». E i rigori, i sorrisi, le pacche sulle spalle. Questo era il quadretto.

 

IL BEL QUARTETTO

E, attorno al quadretto, metteteci pure la cornice: gli spalti pieni di folle plaudenti e solidali, seimila anime gentili tra padri, bimbi e nonni in prima fila (che secondo il quartetto Berizzi-Barbera- Montanari –Robecchi andrebbero certamente arrestati in blocco). E il picco d’audience per la differita in tv della partita. E le «notti magiche/inseguendo gol/sotto il cielo di un’estate italiana», come diceva la canzone. Era, di fatto, una delle rare volte in cui la politica ti suggerisce l’idea trasversale che la beneficenza sia priva di colore politico; e che quando si vuole, la politica possa fare qualcosa di buono.

Eppure, secondo i suddetti quattro moschettieri dell’antifascismo, con i fascisti «non si gioca a pallone, non si prende neanche un caffè». Eppure, saltano all’occhio un paio di obiezioni. Se la si mette sul piano storico, gli “opposti” si parlavano ancor prima della fine degli anni di piombo; Moro e Berlinguer erano arrivati alla soglia del compromesso storico. Tra il 1978 e il ’79 lo stesso Berlinguer –scrisse Antonio Padellaro- s’incontrò segretamente col segretario del Movimento Sociale Giorgio Almirante, già ammesso costituzionalmente in un Parlamento antifascista dalla nascita. Per dire.

Se poi la mettiamo sul piano fattuale, dove starebbe il «pericolo fascista» esaltato dal professor Barbera? Forse nel Presidente del Senato democraticamente eletto (anche dagli antifascisti), che aveva un busto del Duce in salotto? Forse nell’unico ex Msi che, pur nel rispetto del passato, ha co -fondato Fratelli d’Italia e ha traghettato l’antica anima almirantiana verso i rispettosi lidi del conservatorismo? Cioè: a Berizzi-Robecchi-BarberaMontanari sta sulle balle La Russa, e quindi non si deve giocare la Partita del Cuore? Cioè: tu non la pensi come me e non solo devi essere odiato, epurato, esiliato dai pubblici consessi, ma dev’esserti impedito l’uso della pelota? Trattasi di arroganza anti democratica. Non è che qui i fascisti veri sono gli antifascisti, e non lo sanno?...

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