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Roberto Gualtieri inguaiato dai gabbiani: i nuovi cestini "anti-monnezza" fanno una brutta fine

Salvatore Dama
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Parafrasando il poeta Gianni Celeste: “Povero Gualtieri, ha perduto la campagna”. Quella del decoro della capitale. E tutto per colpa di un gabbiano. Fotografato mentre rivela l’inutilità dei nuovi cestini per la cartastraccia. Progettati da chi non conosce la fauna del centro storico di Roma. Anzi, per paradosso, sembrano fatti apposta: mangiatoie per uccelli che grufolano nella spazzatura. Risultato: 18mila contenitori da rispedire alla fabbrica e 35 milioni di euro buttati. Ma facciamo un passo indietro: qualche settimana fa il sindaco Roberto Gualtieri, con uno dei suoi video su Tiktok, annuncia la novità. Roma avrà dei nuovi secchi della spazzatura, quelli perle cartacce. Il primo cittadino ne magnifica il design, che richiama i cestini posizionati ai tempi del Giubileo del Duemila, e sottolinea i materiali di costruzione: sono in plastica, in parte riciclata. A tutto questo si aggiunge una campagna di guerrilla marketing, anche un filo sprecata, trattandosi di pattume.

I secchi hanno un nome, si chiamano “Cestò”, con l’accento. Versione polisemantica. Nel senso di “cesto” e nel senso di “ce stò”, inteso, dal romanesco, “sto qui”, finalmente, perché prima, residenti e turisti le cartacce dovevano ficcarsele in tasca. Quelli civili. Gli altri le buttavano a terra. Tutto molto bello. Il video di Gualtieri su Tiktok ha ricevuto 80mila like. Poi sono cominciati i problemi. Per ragioni “anti-terroristiche” i cestini devono mantenere una certa trasparenza. Ebbene, chi ha progettato i Cestò l’ha risolta praticando delle aperture verticali su tutto il perimetro del secchio.

 

 

Insomma, ha pensato all’Isis K, ma non ai gabbiani. E qui occorre aprire una opportuna parentesi ornitologica. Benvenuti nel Mondo di Quark. Va precisato, infatti, che il gabbiano romano ha subito una interessante mutazione genetica. Da Larus Marinus è diventato Larus Coattus. Scordatevi la versione romantica alla Jonathan Livingston, il gabbiano del centro storico di Roma è over-size, malintenzionato, incazzato, e combatte la sua jihad quotidiana per il cibo: i cassonetti della monnezza sono il paradiso con le vergini.

Gualtieri, inconsapevolmente, gli ha fatto un regalo. I Cestò sembrano studiati apposta per l’anatomia dell’uccello in questione. Che, nelle feritoie (quelle anti-terrorismo), trova lo spazio per infilare il becco, strappare la busta e cercare del cibo avanzato. Risultato: la spazzatura sta di nuovo tutta a terra. E sono volatili amari. Tanto che Stefano Marin, assessore all’Ambiente del Primo Municipio, ha chiesto di prendere provvedimenti. Perché i Cestò ora sono arrivati solo nel centro storico, ma il progetto è di distribuirli in tutta la città. Marin, in una lettera inviata al direttore generale dell’Ama, ha invitato ad “apportare dei cambiamenti prima che l’intera operazione sia conclusa. Bisogna migliorare i cestini prima che sia troppo tardi”.

 

 

L’assessore ha un’idea: “Al fine di evitare che i volatili possano danneggiare i sacchetti dei nuovi cestini getta-rifiuti causando così lo spargimento di tutti i rifiuti sulla pubblica via si richiede di prendere opportuni provvedimenti in merito: a titolo puramente esemplificativo ma non esaustivo si potrebbe riprogettare lo spazio tra le assi verticali in maniera da renderlo considerevolmente più stretto oppure si potrebbe installare una rete interna che serva per arginare eventuali interventi dall'esterno”.

E poi “si richiede anche di prevedere un alloggiamento idoneo per conferire i mozziconi di sigarette”. Già, perché i Cestò sono già pieni di bruciature di chi non sa dove spegnere le cicche. D’altronde la storia delle amministrazioni romane e dei cestini per la cartastraccia è lunga e lastricata di fallimenti. Alcuni tutti da ridere. I vecchi secchi, quelli chiusi, dopo l’11 Settembre non andavano più bene. Allora prima li hanno fatti sparire, lasciando il popolo con le cartacce in mano. Poi sono apparsi dei canestri, fatti da un anello e una busta penzolante: orrendi. Infine le “urne funebri” di Virginia Raggi. Con il dubbio: ci va depositata la carta unta della pizzetta romana o le ceneri di un parente?

 

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