Autonomia differenziata, l'ammucchiata anti-riforma è già rotta
Doveva essere il collante per il nuovo campo larghissimo, quello che sul modello francese avrebbe consentito alla sinistra di battere il centrodestra. Invece la battaglia referendaria contro l’Autonomia differenziata rischia di diventare l’ennesima Caporetto dell’opposizione. Esattamente come sta avvenendo in Francia, fino a quando il collante è il nemico va tutto bene, ma quando di deve passare dalle parole ai fatti, allora la faccenda si fa complessa. Succede così che il fronte compatto che lo scorso 5 luglio si era presentato compatto al Palazzaccio, sede della Corte di Cassazione, per depositare il quesito referendario contro la riforma Calderoli, è già in pezzi, lacerato da mille distinguo e altrettante strategie differenti. La più clamorosa è quella del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, il primo a scendere in campo contro il referendum, ma anche il primo a rendersi conto del rischio di autogol.
Così nel corso della consueta diretta social, il governatore campano ha ammorbidito i toni: «Non credo che dobbiamo essere appassionati di referendum, di scontri o confronti tra Nord o Sud», che per uno che solo un mese fa aveva chiamato il Sud alle piazze è una bella retromarcia. E non è finita qui. Dopo aver spiegato che si deve «guardare al merito dei problemi e dobbiamo chiarire sempre che la nostra bocciatura della legge sull’autonomia differenziata si lega a una battaglia che dobbiamo fare sulla linea “burocrazia zero”», invita i compagni di battaglia a «lavorare ancora in questi mesi per tentare di approvare modifiche alla legge Calderoli in grado, magari, anche di superare il referendum, ma tutelando pienamente gli interessi delle regioni meridionali». Spiega De Luca: «Il mio è un “no” all’autonomia che spacca l’Italia, ma “sì” all’autonomia che significa burocrazia zero, cioè trasferimento di pareri e normative che, senza spaccare l’Italia, modernizzano il Paese». Una retromarcia tattica, quella di De Luca, che ha capito il ginepraio nel quale la sinistra si è infilata. La strada che porta al referendum, infatti, è lastricata di insidie. La prima riguarda il quesito referendario. Le cinque regioni di centrosinsitra, nonostante i proclami, non sono riuscite ad arrivare a un quesito unico. Così ne hanno presentato due.
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Uno che chiede la cancellazione totale della legge e che quasi certamente verrà bocciato dalla Consulta perché legato a capitoli di bilancio che non possono essere sottoposti a referendum. L’altro che in maniera un po’ confusa chiede l’abrogazione di una parte della legge Calderoli. In questo caso, però, il rischio è che la Corte lo bocci per disomogeneità. In più questo piano B non piace ai Cinquestelle, che minacciano di rompere il fronte. Tanto che ieri dalle colonne del Fatto è dovuto intervenire il responsabile delle riforme del Pd, Alessandro Alfieri, che ha spiegato come «se il primo quesito dovessere essere approvato, un secondo dopo noi ritireremo il secondo». L’altra insidia è quella del quorum. Ammesso che si arrivi al voto, per essere valido il referendum abrogativo deve raccogliere il 50% più uno degli aventi diritto. Un traguardo che, visti gli ultimi dati d’affluenza, sembra difficile da raggiungere. Giusto per statistica dal 1995 a oggi l’unico referendum abrogativo che ha superato la soglia del 50% risale al 2011. Per il resto la media di partecipazione si attesta attorno al 30-35%. Insomma il rischio che la consultazioni si trasformi in un boomerang per le opposizioni è piuttosto alto.
Come detto però alla frenata del Pd non si vogliono adeguare i grillini, i sindacati Cgil e Uil (giusto ieri hanno inviato una lettera alle loro sedi per organizzare la raccolta firme) e i movimenti di estrema sinistra. Tutto, o quasi, spiazzati dalle parole di De Luca. Dopo qualche screzio, invece, sembra essere rientrato l’allarme interno al governo. Se Salvini, e non potrebbe essere altrimenti, è tornato a spiegare che «l’Autonomia differenziata è una grande opportunità di crescita, soprattutto per un Sud che è oggi più arretrato e non per colpa dell’Autonomia che non c’è, ma per colpa di una pessima politica»; Adolfo Urso, ministro di Fdi, ha rassicurato sul fatto che «non c’è nessuna confusione, non ci sono problemi. Io credo che si possa procedere sulla strada dell’Autonomia come da lungo tempo hanno chiesto i cittadini e credo che questo possa rafforzare il Meridione».
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