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Rai, ora i lottizzatori del Pd chiedono pulizia in Viale Mazzini

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Giovanni Sallusti
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Chiediamo aiuto al lettore, proviamo a focalizzare l’enormità mettendola nero su bianco. Il Pd vuole liberare la Rai dalla politica. Esempi analoghi che ci sono subito venuti in mente: Charles Bukowski che vuole farla finita con la piaga dell’alcolismo, Rocco Siffredi che si impegna contro la diffusione della pornografia, l’ayatollah Khamenei che ammonisce sul rischio antisemitismo. Ma questo è ancora umorismo scoperto, “sentimento del contrario” avrebbe detto Pirandello, che viceversa non sarebbe mai riuscito a immaginare quanto possa recitare a soggetto la sinistra italiana, quanto possa cambiarsi di maschera in barba a qualunque canone di verosimiglianza. Parole e musica di Elly Schlein, un paio di giorni fa a La Stampa: «Prosegue l’occupazione militare del servizio pubblico contro ogni logica aziendale e ogni criterio di merito. Si piazzano gli amici e si calpestano i precari. Serve una riforma della governance che renda il servizio pubblico indipendente dai partiti e dalla politica».

L’AFFAIRE BORTONE
La pietra dello scandalo (farlocco) è ovviamente l’affaire-Bortone, ultima icona nella galleria dei (presunti) martiri al tempo del neofascismo catodico. Peccato che, applicando il teorema-Schlein che non vuole in Rai né “i partiti” né i loro “amici”, la prima a saltare dovrebbe essere proprio tal Bortone Serena, già responsabile comunicazione e ufficio stampa della campagna per le primarie Pd. Ma niente da fare, Elly ha deciso che il principio di non contraddizione è un’anticaglia reazionaria, e rincara la dose alla Festa dell’Unità di Roma: «Telemeloni sanziona giornaliste libere che hanno protestato contro una censura come quella del monologo di Scurati e dall’altra parte assume amici ed amichetti. Serve una riforma che liberi il servizio pubblico dai partiti».

 


Ci crede proprio, è la nuova narrazione da abbinare al vestito consigliato dall’armocromista, via la mala pianta della politica dal giardino di viale Mazzini! Allora, dovrebbe proferire perlomeno mezza sillaba sulla neo-onorevole europea Lucia Annunziata, che quando qualcuno si mostrava scettico sulla sua equidistanza professionale ribatteva seccata, ancora nell’ottobre scorso: «Non mi candiderò mai e poi mai alle Europee. Né con il Pd né con nessun altro partito». È finita che si è candidata, ed è stata eletta... con il Pd. Si riconosce e milita in un partito, osiamo immaginare che questa adesione potesse almeno in teoria condizionare lievemente il suo ottimo lavoro anche il giorno prima, quando conduceva un programma di punta in Rai. Non è nemmeno una bestemmia dire che Marco Damilano, mattatore della striscia informativa quotidiana su Rai3 con il suo Il cavallo e la torre, sia idealmente vicino al Pd. Secondo Dagospia sarebbe addirittura «il deus ex machina consultato costantemente» dalla Schlein, soprattutto nell’ultima campagna europea, una sorta di spin doctor-ombra. Non male, come autonomia del servizio pubblico dalla politica. Indiscrezioni a parte, quel che è certo è che quando l’allora direttore de L’Espresso sbarcò in Rai si sollevò perfino il sindacato interno: «Ancora una volta l’azienda ricorre ad un giornalista esterno per l’informazione!».


Insomma, gli intrecci tra giornalismo, conduzione e partiti sono vecchi quanto la Repubblica, e nella Seconda il partito-crocevia è stato spesso il Pd. Non è boutade faziosa, ma elementare cronaca, specie se alziamo lo sguardo verso l’attico, verso il centro del potere di viale Mazzini. Dati di Pagella Politica, non esattamente un covo di sovranisti bavosi: il Pd dal 2005, anno in cui è stato eletto il primo Cda con la legge Gasparri, è il partito che ha espresso più consiglieri di amministrazione tra quelli nominati dal Parlamento, ben undici. Seguono Forza Italia con nove e, a distanza siderale, Lega e Udc con quattro. Chi ha davvero “occupato militarmente” la Rai negli ultimi lustri, per usare il linguaggio descamisado di Elly Schlein? Il partito di Elly Schlein, peraltro in piena e coerente continuità con la teoria grams c i a n a dell’egemonia da imporre all’interno delle “casematte” del potere e della cultura nazionali.
 

L’EGEMONIA COME PRASSI
L’egemonia, infatti, non è una teoria accademica, ma una prassi gestionale. Valgano, anche qui i numeri. Assunzioni dirette a chiamata di dirigenti in ruoli apicali sotto il dg Luigi Gubitosi (anni 2012-2015, governi Monti-Letta-Renzi): quattordici. Assunzioni dirette di dirigenti in ruoli apicali sotto il dg Antonio Campo Dall’Orto (anni 2015-2017, governi Renzi-Gentiloni): ventisei (tra cui Daria Bignardi e Francesco Merlo). Saranno anch’essi stati tutti professionisti di primissimo rango, non siamo certo noi a fare i puristi, quel che digeriamo a fatica è il doppiopesismo spudorato: erano tutte assunzioni “indipendenti” dalla politica (risate in sala), mentre da quando governa la destra improvvisamente si staglia lo spettro della lottizzazione anche sull’ultimo usciere? Siamo oltre il ridicolo, appunto in zona Elly.

 

 

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