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Autonomia, Guzzetta: "Non si può abrogare con un referendum tutta la legge Calderoli"

Fabio Rubini
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La sinistra accelera le operazioni per la stesura e la presentazione di un quesito referendario contro la legge Calderoli, che fissa le regole con le quali l’Autonomia differenziata - presente in Costituzione - dovrà essere applicata. Ieri gli uffici legali delle cinque regioni “rosse” (Sardegna, Emilia Romagna, Toscana, Puglia e Campania) hanno iniziato i lavori di ricerca e analisi, per evitare di vedersi respingere la richiesta. Parallelamente i partiti di opposizione si stanno organizzando per raccogliere le firme necessarie all’indizione della consultazione popolare. Due strade parallele- quella delle Regioni e quella delle firme - per essere più sicuri. Eppure man mano che passano i giorni crescono i dubbi sulla legittimità di un referendum applicato alla “legge Calderoli”. Per farci un’idea più precisa abbiamo sentito il costituzionalista Giovanni Guzzetta, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso il Dipartimento di Diritto Pubblico dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

Professore, secondo lei questo referendum si potrà fare?
«Innanzitutto bisogna dire che in questo campo la giurisprudenza è molto vasta e articolata. In questo caso particolare, ovviamente, prima di esprimere un giudizio bisognerà leggere il quesito che verrà redatto. In linea generale, però, io vedo due ordini di criticità nel portare avanti questa iniziativa».

 

 

 

Proviamo ad analizzarle?
«La prima è che vedo molto problematico pensare di abrogare l’intera legge. Questo perché una parte di essa riguarda materie che non possono essere sottoposte a referendum abrogativo. Mi riferisco in particolare a quelle norma riguardanti il bilancio e i tributi per il finanziamento delle materie concorrenti».

E la seconda criticità?
«La legge è distinta in capitoli. C’è quello che fissa la procedura per i negoziati tra governo e regioni; quello che fissa le regole per stabilire i Lep, i Livelli essenziali di prestazione; quello che sancisce il principio di sussidiarietà verso quelle regioni con minore capacità fiscale. Stando alla giurisprudenza mi sento di dire che un quesito unico che chieda l’abrogazione complessiva di tutto questo rischierebbe di essere disomogeneo».

Quindi è un’iniziativa morta prima ancora di nascere?
«No. Se il quesito riguardasse solo una parte della legge, allora ci si potrebbe discutere. Ma come ho detto prima, bisognerebbe conoscere il testo sul quale chiedere l’ammissibilità».

Professore, che idea si è fatto di questa riforma? Davvero rischia di spaccare il Paese, sconquassare i conti dello Stato e tutto il resto dell’armamentario del terrore messo in campo dalla sinistra?
«È evidente che il contenuto di questa riforma sia stato ampiamente oscurato dallo scontro politico. Per il resto va detto che quella di cui stiamo discutendo non è una riforma, ma una legge di procedura, che fissa le regole per applicare una parte della Costituzione, cioè l’Autonomia differenziata».

 

 

 

Spaccherà l’Italia?
«A me sembra che il testo si preoccupi di garantire l’unità nazionale e mi riferisco alla parte in cui da un ruolo forte al parlamento e alla Conferenza Stato-Regioni. In più oltre a dare la possibilità alle Regioni di scegliere le materie sulle quali avere maggiore autonomia, stabilisce anche delle norme per poter recedere da quelle intese nel caso in cui le regioni non riescano a garantire i livelli qualitativi standard».

Anche a proposito della qualità dei servizi si sta discutendo molto...
«Tra le altre cose che fa la legge in oggetto, c’è anche quella di uniformare i Lep, una cosa che in Italia sarebbe prevista dal 2001, ma che non è mai stata fatta».

Si è molto discusso anche su quello che potrebbe succedere da un punto di vista finanziario, con Regioni favorite e altre penalizzate. La tesi è che il divario oggi esistente potrebbe aggravarsi. Si è fatto un’idea di quello che accadrà realmente?
«Sul piano finanziario c’è una norma che garantisce che la riforma non leda chi dovesse decidere di non aderirvi. Poi è chiaro che chi vorrà portare avanti un percorso di autonomia si aspetta che avrà un efficientamento della spesa e dei servizi, ma è altrettanto vero che questa legge non prevede un trasferimento di risorse aggiuntive a quelle regioni che avranno più autonomia. E allo stesso tempo le Regioni non potranno trattenere risorse in più rispetto a quelle che arrivano dallo Stato centrale. Infine, come ho già ricordato, ci sono strumenti che garantiranno la sussidiarietà nei confronti di quei territori che risulteranno più svantaggiati dal punto di vista fiscale e che quindi dovranno essere aiutati per garantire i servizi essenziali».

Concludendo, che idea si è fatto di questa vicenda?
«Mi pare una tempesta (politica) in un bicchier d’acqua».

 

 

 

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