Pd, ora anche la festa dell'Unità deve essere asessuat*
Forse Antonio Gramsci, in buona compagnia, rivoltandosi nella tomba penserà che nella vita conviene avere zero idee e fare ancora meno. Perché il problema non sono tanto i contemporanei, che pure possono perseguitarti ma che puoi fronteggiare a mente lucida, battendoti, scrivendo. La vera disgrazia sono i posteri, che si intestano la tua memoria per farne ciò che vogliono loro, deformando il significato dei tuoi pensieri e impadronendosi delle tue parole-simbolo per distorcerle finanche nella forma. D’altronde, se si ragiona che l’immagine di Enrico Berlinguer è stata usata sulla tessera del Partito Democratico per incentivare le iscrizioni neanche fosse una pin-up, le giovani procaci che campeggiavano sui manifesti degli Stati Uniti per convincere i ragazzi ad arruolarsi, è facile concludere che storie e battaglie personali sono ormai a disposizione del primo sfacciato che se ne voglia impadronire.
DIVERSO E TUTTO UGUALE
Sono riflessioni suggerite dall’immagine della Festa dell’Unità di Roma, dove la “à” è stata sostituita da “*”, un asterisco, con tanto di accento. Supponiamo, seguendo da qualche tempo le ossessioni dell’estremismo progressista, che il simbolo al posto della lettera dell’alfabeto stia a ricordare le battaglie contro la differenza di genere, che vogliono togliere la desinenza finale di ogni lemma per attestare che nel mondo non c’è donna e non c’è uomo, è tutto un diverso ma unico e uguale. Intendiamoci, c’è sempre la speranza che la trovata sia dovuta alla fantasia di un grafico di scarso talento che aveva bevuto qualcosa di troppo, e che l’asterisco sia buttato lì anziché pensato, ma conoscendo i nostri poll*, le probabilità di una soluzione artistica infelice sono basse e quelle di una trovata politica ridicola sono alte. In fondo, siccome la sola ricetta che il Partito Democratico riesce a proporre è quella dell’ammucchiata, a prescindere dalle specificità dei partiti, l’asterisco onnicomprensivo e azzera-differenze ha anche un suo senso, dati i tempi.
A essere linguisti, si potrebbe spiegare che la parola unità, anche se finisce per “a”, è asessuata, come desiderio, amore, bontà. Sono concetti che si elevano sopra i generi a prescindere dalle desinenze. Non hanno senso i neologismi alla Laura Boldrini, che ha laureato più avvocate, presidentesse e mediche di qualsiasi università italiana, e neppure le trovate grafico-linguistiche di Michela Murgia, che voleva sostituire tutte le vocali finali delle parole con la (o lo) schwa, una “e” minuscola ribaltata che avrebbe messo giustizia dopo secoli di guerra dei sessi. Ma il punto centrale è forse un altro: quando, con sprezzo del ridicolo, per affermare la tua identità rinunci o ritocchi la tua storia, o per dimostrarti moderno e alla moda sfregi i tuoi simboli, la prima reazione che susciti è l’ilarità dello spettatore, la seconda è il compatimento di chi ti vuol bene, la terza è la rabbia di chi ha provato a prenderti sul serio, la quarta lo smarrimento del tuo gregge.
Un’operazione verità, nel Partito Democratico di oggi, dovrebbe portare a sostituire con altrettanti asterischi non solo la “à” finale ma tutte le lettere che compongono quella che fu l’unità di Gramsci. Quella evocava un asse tra tutte le sinistre in nome di un progetto comune, non un accordo tra avventurieri che si uniscono con il solo scopo di battere le destre ma senza un’anima comune sul tipo di quello francese tra i liberali di Macron e i comunisti di Melenchon, laddove fino a ieri il programma principale dei secondi era smantellare quanto fatto dai primi, che a loro volta ritenevano quelli degli idioti visionari fuori dal tempo.
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ALPINI E GAY PRIDE
Che poi, sempre restando a sinistra, non è neanche vero che per Elly Schlein e compagni non ci sia differenza di genere. La cronaca ce ne serve un esempio. Quando l’anno scorso, alla festa degli Alpini in Romagna, un paio di penne nere alticce ci sono andate giù pesante, a parole, con una ragazza, il Pd ha inscenato un processo all’intero corpo d’armata, con settimane di dibattiti sull’opportunità di certi ritrovi e uno sfoggio di anti-militarismo che neanche Giuseppe Conte è mai arrivato a tanto. L’altro giorno, quando al gay-pride qualche giornalista che era lì per lavorare e non per solidarizzare, ha denunciato di essere stato oggetto di attenzioni poco gradite dai partecipanti alla festa, Elly Schlein danzava spensierata sul carro e l’indomani nessuno le ha chiesto conto di nulla né lei si è preoccupata di solidarizzare con i molestati. «Il Pd è per la comunità Lgtbqia+» ha dichiarato la segretaria. Quanto agli etero, diventino minoranza e forse un giorno la signora si occuperà anche di loro e di chi gli allunga le mani addosso. Alla fine la morale è che un tempo al Festival dell’Unità per far ridere venivano chiamati i comici. Poi a tenere alto il buon umore ci hanno pensato i politici. Oggi bastano i cartelli.
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