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Clemente Mastella, l'affondo: "Io come Giovanni Toti, la sinistra non impara mai"

Pietro Senaldi
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«La resistenza di Giovanni Toti, che non si vuole dimettere perché si reputa innocente, mi ricorda quella di mia moglie, Sandra Lonardo Mastella, nel gennaio 2008».

La signora venne arrestata quando lei, sindaco, era ministro della Giustizia...
«Io mi dimisi perché, per la mia formazione cattolica e democratica, ritenevo la carica di Guardasigilli eticamente incompatibile con il fatto di avere una moglie agli arresti. Ma mia moglie, che era presidente del Consiglio Regionale della Campania, si rifiutò di farlo; per una questione di dignità, personale e della funzione, mi spiegò».

Come finì?
«La pagammo cara entrambi. Sandra rimase agli arresti fino alla fine della legislatura, poi per un anno non le consentirono di rientrare in Campania. Lo fece una sola volta, per sottoporsi a un intervento ginecologico, visto che una nostra parente era primario, ma i carabinieri la scortarono fino alla sala operatoria e rimasero fuori in attesa. Quanto a me, la sinistra mi abbandonò. Un dirigente del Pd che aveva rapporti intensi con il mondo giudiziario confidò a un mio amico onorevole: “Clemente ha fatto cadere il governo, ora vedi che gli succede”».

Cosa le accadde?
«Di tutto, compreso il fatto che venni assolto dopo undici anni di processo. Ma poi io avevo chiesto al presidente Giorgio Napolitano di telefonare al procuratore di Napoli, ero sicuro della mia innocenza. Lui telefonò, forse perché non lo fece davanti a me, e poi mi disse che non c’era nulla da fare. D’altronde il Colle forse non amava troppo quel governo. Mi mollarono e mi diedero la colpa».

 

 

A Clemente Mastella la vicenda del presidente della Liguria ricorda quella sua e della moglie. Lui era il leader di Udeur, così come Giovanni Toti è quello della sua lista omonima, che però ha anche mandato parlamentari a Roma con Noi Moderati. «Io ero il più piccolo e fragile della coalizione che reggeva il governo Prodi. Avevamo fatto una riforma della Giustizia che molti magistrati non avevano gradito, con il divieto per i capi di restare più di otto anni nello stesso posto. Avevo lavorato anche per una sorta di umanesimo giudiziario, che sveltisse i tempi dei processi. Qualcuno forse voleva mandare un messaggio... All’inizio mi lasciarono fuori, poi quando mi dimisi mi tolsero la pelle».

L’ex Guardasigilli, oggi sindaco della sua Benevento, è un fiume in piena. Per un gioco del destino è di casa in Liguria, da quando uno dei suoi figli ha messo su famiglia a Loano. «Per quel che posso vedere, Toti ha trasformato la Regione. Penso abbia lavorato bene, sarebbe un peccato se tutto si fermasse per questa inchiesta», afferma.

Sindaco, Toti deve seguire l’esempio suo o di sua moglie?
«Sono scelte personali. Io sono impressionato dalla sua resistenza, significa che è molto determinato. Certo, se ci riesce, fa bene a tener duro. Potrebbe essere un bel precedente».

In che senso?
«Se, arrestato, non ti dimetti, sottrai la politica a un eventuale arbitrio della Procura, che può decidere la fine di una carriera con un arresto prima dell’inizio del processo, esattamente come è successo nel mio caso».

Secondo lei l’arresto di Toti ha motivazioni politiche?
«È un intreccio tra giustizia e politica. Se gli inquirenti volessero fugare ogni sospetto di politicizzazione, dovrebbero lasciarlo libero. Cosa significa che può inquinare le prove o perpetuare il reato? Basta che la magistratura lo controlli e lui non può fare nulla. Non capisco cosa sia cambiato oggirispetto ai tre anni e passa durante i quali i magistrati lo hanno indagato mentre era nel pieno dei suoi poteri. Spero che gli consentano di avere gli incontri politici che ha richiesto, ma non vorrei che si illudesse, io ne so qualcosa».

La sinistra chiede le dimissioni del governatore...
«La politica non impara mai nulla e finisce sotto scacco delle Procure. La sinistra non si illuda, i magistrati gestiscono in totale autonomia il proprio potere e non guardano in faccia a nessuno».

Non è giusto così?
«Certo, a patto che vengano rispettate le norme del codice di procedura penale e della Costituzione. Non c’è scritto da nessuna parte che la magistratura ti può arrestare sulla base di un sospetto e di presunzioni, come capitato a Toti e a me e mia moglie, e devi essere tu a dover dimostrare la tua innocenza: devono essere loro a provare che sei colpevole, al contrario e prima di arrestarti devono avere elementi concreti, non intercettazioni interpretabili».

Ci racconta un po’ del suo calvario...
«Tra le altre cose, da ministro avevo mandato un’ispezione a Luigi De Magistris, allora pm in Calabria».

Cosa gli contestava?
«Irregolarità nelle indagini, che poi peraltro non hanno portato a nulla. Contro di me firmarono 150 magistrati, alcuni dei quali poi me li ritrovai come giudici. Altri mi spiegarono in confidenza che non avevano nulla contro di me ma che avevano aderito per ragioni di corporazione».

Fu il prologo dell’inchiesta...
«Guardi. Mia moglie ce l’aveva con l’ex consuocero e un giorno mi disse che per lei “era come uomo morto”. Quella frase divenne un capo d’accusa per mafia. Abbiamo dovuto chiamare l’Accademia della Crusca per testimoniare nel processo che è un modo di dire campano quando vuoi far capire che non intendi aver più nulla a che fare con qualcuno. Finirono di mezzo anche mio figlio e mia figlia adottiva. Lui fu accusato di aver ricevuto in regalo dalla camorra una macchina: lo indagarono per tre anni. Lei aveva sedici anni quando si ritrovò i carabinieri in casa inviati dalla procura di Napoli alle 6 del mattino a Roma chiedendole del fratello, mentre io ero a Bruxelles all’Europarlamento, avevo l’immunità parlamentare e non potevano assolutamente entrare in casa mia. Pretesero pure che facesse loro il caffè. Dovetti intervenire io spiegando che quella era un’invasione nella casa di un parlamentare... Ora chi ha ordinato quell’infamia dirige un’importante procura».

 



 

Il centrodestra fa bene a sostenere Toti?
«È chiaro che l’obiettivo degli arresti è ottenerne le dimissioni, come lo è stato per mia moglie. Toti sta avendo una solidarietà che io e mia moglie non abbiamo avuto. Quando parlai in Parlamento, il governo mi lasciò solo; accanto a me c’era unicamente il ministro Vannino Chiti, che ringrazierò sempre per questo. Sarebbe bastato che qualcuno dichiarasse in mio favore e non me ne sarei andato».

Come mai la abbandonarono?
«La sinistra era succube dei magistrati, cosa che non è il centrodestra oggi, anche se le faccio una profezia: la separazione delle carriere non passerà. E poi molti pensavano: “Mastella qualcosa deve aver pure fatto lì in Campania...”. Invece esponenti del Pd hanno avuto guai seri con la criminalità. Diciamo la verità: sono vittima di pregiudizio antropologico e sì che nel 2006 li ho fatti vincere io, Prodi prevalse per 25mila voti alla Camera e io ne portai ben 200mila solo in Campania».

Ma di cosa vi accusavano?
«Concussione, questioni di nomine. Per me e mia moglie si prospettavano oltre cent’anni di carcere, più che per Bernardo Provenzano. Ma la cosa più incredibile è che, secondo l’accusa, noi avremmo concusso Antonio Bassolino, allora presidente della Campania, solo che il pm non lo convocò mai, dovetti chiamarlo io, come teste, dopo dieci anni di processo».

E come mai?
«Il pm confidò al mio avvocato che, se avesse chiamato Bassolino, quello mi avrebbe scagionato».

Dal quadro che mi descrive non c’è da essere molto ottimisti per Toti?
«Io poi sono stato assolto. Significa che qualche giudice c’è».

Il giudice per le indagini preliminari però si è attenuto pari pari alle considerazioni dei pm...
«Questo capita molto spesso. In fase di indagini preliminari c’è sovente una subordinazione dei giudici alla procura. D’altronde, se rinvii a giudizio non sbagli mai e se l’imputato è innocente, ci sarà sempre un giudice ad assolverlo; ma poi, questo è il guaio».

Intanto uno è agli arresti...
«Gli arresti sono inconcepibili, se non in presenza di un quadro accusatorio fortissimo. Ma le assicuro che anche essere indagato non è una passeggiata; e costa tra l’altro un sacco di soldi che nessuno ti ridarà mai».

Lei, come Toti, è stato vittima di un complotto?
«La parola non mi piace. Certo ho il sospetto che contro di me agirono poteri molto forti. E vedo che Toti, con la sua azione di governo, forse ha dato fastidio a parecchi...».

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