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Giovanni Toti, la sinistra si schianta: sfiducia respinta? Cosa succede ora

 Giovanni Toti

Pietro Senaldi
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«Oggi non solo perderete nel voto di questa mozione che vorrebbe sfiduciarmi. Oggi avete, ancor prima, perso il senso del vostro ruolo e, credendo di sottolineare una nostra debolezza, non vi siete resi conto di aver invece mostrato tutta la vostra. Per questo, oltre alla mozione, continuerete a perdere anche le elezioni». Si concludeva così il messaggio che Giovanni Toti ha consegnato al capogruppo della propria lista, Alessandro Bozzano, perché lo leggesse in Consiglio Regionale, ieri mattina, prima della discussione in aula sulla sfiducia al presidente agli arresti domiciliari.

Mai parole furono tanto profetiche. È finita diciotto a undici e palla negli spogliatoi dunque, e non al centro, perché non sono previste repliche né secondi tempi. Come quasi sempre avviene, la mozione, anziché dividere, ha compattato la maggioranza. A parte l’interessato, impossibilitato a partecipare, tutti gli altri diciotto consiglieri riferibili al centrodestra (sette della lista Toti presidente, cinque leghisti, due di Fdi, due forzisti e due appartenenti al Gruppo Misto) hanno votato per confermare il governatore. «Piena fiducia a Toti, siamo pronti ad andare avanti così fino al termine del mandato anche se non lo libereranno» ha chiosato nel suo intervento in aula, parlando a nome di tutta la giunta, il leghista Alessandro Piana, vicepresidente della Regione promosso dalle circostanze numero uno sul campo e che da un mese regge la baracca.

 

 

 

SPACCATA

A uscire sfilacciata è stata piuttosto l’opposizione. Sulla carta poteva contare su dodici voti di sfiducia, ma alla fine, come detto, uno se ne è perso per strada e il conto si è fermato a undici. Pippo Rossetti, ex consigliere dem convertitosi a Calenda e transitato nel Gruppo Misto, ha infatti marcato visita, anche grazie a una provvidenziale influenza fuori stagione, che gli ha impedito di recarsi in consiglio; dove comunque, a detta dei maggiorenti romani di Azione, non avrebbe appoggiato la sfiducia, in piena conformità di vedute con Carlo Calenda, garantista non solo a parole e che da quando è iniziata questa vicenda non ha mai maramaldeggiato sulle disavventure giudiziarie del presidente ligure. Rossetti d’altronde aveva subito messo in guardia l’opposizione dal presentare una mozione che, aveva profetizzato, sarebbe stata un autogol.

Ma, oltre che nei numeri, è stato soprattutto negli interventi in Aula che è emersa la differenza tra una maggioranza compatta in tutte le sue forze nella difesa del governatore e un’opposizione divisa. I grillini e Ferruccio Sansa, il candidato della sinistra sconfitto da Toti quattro anni fa, hanno recitato la parte dei puri e dei giustizialisti. «Si sono visti atteggiamenti da cavalleria rusticana» commenta Piana stigmatizzando il comportamento di un consigliere dell’opposizione che si è fiondato sotto i banchi della maggioranza agitando il dito verso la leghista Sonia Viale. Il Pd, che ha le mani in pasta nel Porto di Genova da sempre, ha attaccato ma ha presentato cinque posizioni diverse, una per consigliere intervenuto. Il più aggressivo è stato Luca Garibaldi, il capogruppo, «che ha cercato di trasformare l’aula consigliare in un campo di battaglia per cucirsi i gradi di candidato regionale», sintetizza Piana. Gli altri sono stati elefanti che cercavano di barrire senza mandare in pezzi la cristalleria di cui si sentono parte.

LA QUESTIONE GIUDIZIARIA

Ma dopo il teatrino, da oggi, cosa succede? La vicenda Toti, fin dal primo giorno, incrocia politica e giustizia; fosse solo una questione di indagine infatti, probabilmente il governatore non sarebbe stato messo agli arresti un solo giorno. Confermandogli la fiducia, la giunta ha rinnovato il mandato a se stessa ad andare avanti senza il timoniere titolare. Ma quanto potrà durare. I giochi si decideranno tra due -tre settimane, lascia intuire Stefano Savi, il legale del presidente. In tempi ragionevoli, dopo il voto per le Europee e dopo che la Procura avrà sentito ancora qualche testimone, l’avvocato presenterà istanza per la revoca degli arresti domiciliari. Tre sono i presupposti in base al quale il giudice per le indagini preliminari, Paola Faggioni, potrebbe negarla. Pericolo di fuga, ma questo per i pm è sempre stato inesistente.

Possibilità di reiterare il reato contestato, ma siccome nell’ordinanza di custodia cautelare tale rischio era legato alle imminenti elezioni, passato il prossimo fine settimana e considerato che il calendario riporterà la Liguria al voto solo a fine 2025 anche questo presupposto do vrebbe venire meno da sé. Infine inquinamento delle prove. Duro da sostenere dopo tre anni e mezzo di indagine e con gli occhi di tutta Italia sulle mosse dell’indagato. Il punto è che, mentre finché è agli arresti Toti è impossibilitato a governare, nell’attimo esatto in cui venisse liberato, egli tornerebbe nella pienezza dei propri poteri e potrebbe risedersi a Palazzo della Regione come nulla fosse. Non sarebbe d’altronde il primo presidente che amministra con un’inchiesta aperta contro di lui; e non lo sarebbe neppure in caso di rinvio a giudizio.

Questa però è una questione politica e non giuridica, e quindi la valutazione non spetta alla magistratura, che deve decidere solo in base a elementi di diritto, che diventano ogni giorno più fragili. Certo, la Faggioni non si è mai discostata finora dalle indicazioni della Procura, che di fatto ha negato tutte le richieste di riduzione delle misure di interdizione. In particolare, la toga spesso ha colorito i propri rifiuti con considerazioni dal sapore di sentenze morali, come l’ultima, che ha tenuto in carcere l’ex presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Russo Signorini, affermando di fatto che non aveva confessato e non si era pentito: deve restare in cella «perché non ha capito la gravità di quel che ha fatto» ha sentenziato come un’autorità morale anziché come un giudice.

Sono precedenti che allarmano l’avvocato Savi, anche se la sua linea difensiva è stata diversa fin dal primo minuto. Toti non ha mai contestato i fatti, ha solo dato a essi una lettura politica, negandone la valenza penale; e questo è giudizio che spetta solo al tribunale, non alla Procura e neppure all’ufficio per le indagini preliminari, che deve giudicare solo in merito alla sussistenza dei requisiti per l’arresto, che non devono essere presunti, ma giustificati dal comportamento dell’indagato. In altre parole, Toti non può esser mantenuto agli arresti perché si teme che inquini le prove ma solo se il gip dimostra che ha già tentato di farlo.
Solo che liberarlo, anche se tecnicamente la scelta più corretta, sarebbe una sconfessione politica della linea della Procura e chissà se la gip avrà la forza e il coraggio di andare contro un mammasantissima delle toghe come il super-procuratore Nicola Piacente. È sudi lui, per questo, che la difesa sta concentrando i propri sforzi persuasivi.

 

 

 

LA QUESTIONE POLITICA

E siamo alle conseguenze politiche delle decisioni dei giudici. Se gli arresti avevano il significato di portare la vicenda Toti alla ribalta nazionale, essi hanno avuto successo. Se però l’obiettivo era anche dare una spallata al governatore che lo costringesse alle dimissioni, evocate dalla sinistra per evitare la paralisi in Liguria ma vissute dall’interessato come un ricatto per riottenere la libertà, questo non è stato centrato.

Il governatore ha deciso che valuterà se dimettersi solo se ritornerà all’agibilità politica e potrà confrontarsi con i partiti che lo sostengono, a Genova e a Roma. Ieri ha incassato il sostegno di tutta la sua maggioranza in Regione, ma sta cambiando il clima intorno a questa vicenda anche a livello nazionale, benché la politica romana sia naturalmente distratta dall’appuntamento del voto europeo.

Decideranno i partiti. Toti ha dalla sua al cento per cento la Lega e Forza Italia. Ma anche Fratelli d’Italia si starebbe lentamente spostando sempre più verso il governatore. Se egli tornerà in libertà, nessuno gli chiederà il passo indietro e potrà andare avanti nell’attesa che i magistrati, e non lui, chiariscano e provino i reati che gli contestano. Viceversa, se resterà agli arresti, non si potrà avere il confronto con il governatore che il centrodestra ritiene indispensabile per riflettere sulla sua sorte e quindi, poiché lo statuto regionale della Liguria consente al vicepresidente di governare per diciotto mesi in assenza del titolare, la giunta regionale potrebbe andare avanti fino a fine legislatura.

C’è poi il fattore tempo: gli inquirenti hanno fatto capire che non chiuderanno l’indagine prima dell’autunno, ma non è pensabile che gli uffici vadano in ferie lasciando un governatore agli arresti e una Regione senza testa. Quindi, teoricamente, Toti dovrebbe essere liberato prima di agosto, a meno che non intervengano nuovi elementi, ma talmente gravi da sconvolgere sia il quadro giudiziario sia le certezze del centrodestra, in Liguria e a Roma. Ed Elly Schlein che anche ieri invocava al vento le dimissioni del governatore si dia pace.

 

 

 

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