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Toti, l'autogol dei dem in commissione Antimafia

 Giovanni Toti

Pietro Senaldi
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Il sospetto, avanzato da Libero, che l’aggravante mafiosa nell’inchiesta di Genova nei fatti non esista ma sia stata contestata dai pubblici ministeri solo per poter allargare le intercettazioni a Giovanni Toti sta diventando da caso giudiziario a caso politico. Senza l’aggravante mafiosa, gran parte del materiale probatorio in forza del quale la Procura accusa il presidente della Liguria, e lo mantiene da oltre tre settimane agli arresti domiciliari, impossibilitato a governare, sarebbe stato raccolto in modo illegittimo; come lo sarebbe stato anche se si scoprisse che l’aggravante è una finzione tecnico-giuridica.

Proprio questo ha cercato di appurare martedì scorso la commissione Antimafia del Parlamento, convocando il procuratore di Genova, Nicola Piacente. L’alto magistrato ha ribadito davanti ai deputati, e in particolare a quelli del Pd, i quali hanno fatto di tutto per attaccare Toti, che non c’è alcun elemento soggettivo di natura mafiosa a carico del governatore. Ma il procuratore ha anche portato argomentazioni molto deboli a prova del coinvolgimento mafioso dell’ex capo di gabinetto della Liguria, Matteo Cozzani, destinatario di un’accusa così grave solo per aver avuto rapporti con un sindacalista della Cgil cognato di un boss in carcere in Sicilia, che però non vede da quindici anni, e con due fratelli, i Testa, rappresentanti di una comunità di genovesi originari della provincia di Caltanissetta, i riesini, mai condannatati per mafia.

 

 

 

La commissione martedì era stata convocata su insistenza proprio della componente Pd, che appunto voleva incastrare Toti, ma l’appuntamento si è rivelato un boomerang. La caccia al mafioso si è rivelata un buco nell’acqua, tanto che il deputato di Forza Italia, Maurizio Gasparri, ha dichiarato di essersi convinto, dopo aver ascoltato Piacente, che «ha ragione Libero quando dice che le intercettazioni di Toti non si sarebbero dovute né potute fare perché poggiano su un’inchiesta per corruzione mafiosa dove la mafia non si vede granché». Il parlamentare azzurro è andato perfino oltre, definendo «persuasiva la tesi in base alla quale l’aggravante mafiosa sarebbe stata usata dai pm come un escamotage per poter allargare l’inchiesta fino a Toti ed estenderla nei modi e nei tempi il più a lungo possibile, unendo indagini che non hanno nulla in comune».

Ieri, rendendosi conto che l’approfondimento da parte del Parlamento degli elementi mafiosi dell’inchiesta genovese potrebbe di fatto portare a scardinarla e toglierle ogni base giuridica, Magistratura Democratica (Md) è intervenuta in soccorso delle toghe liguri. L’organizzazione delle toghe rosse ha condannato il fatto che la Commissione Antimafia abbia chiesto alla Procura di Genova gli atti del processo contro Toti e biasimando la convocazione di Piacente a Roma. La corrente di sinistra dei magistrati ha bacchettato il Parlamento, chiedendo che non interferisca nell’inchiesta genovese e sostenendo che «la commissione ha natura politica e non deve giudicare né sostituirsi ai giudici». Eppure era stato proprio li Pd, il partito preferito da Md, a insistere per la convocazione di Piacente, illudendosi di poterlo utilizzare come una clava contro il centrodestra. Fallito il tentativo, al punto chele argomentazioni de procuratore genovese vengono confidenzialmente ritenute dai componenti dem dell’Antimafia a favore di Toti, improvvisamente non va più bene la commissione...

Paradossale: Magistratura Democratica, che è un’organizzazione tra privati cittadini e non un potere dello Stato, pretende che la Commissine Antimafia, che è un organo costituzionale, stia lontano da un’inchiesta per mafia, quando invece il suo ruolo istituzionale è proprio occuparsene. Ancora più eclatante: l’associazione di toghe politicizzate vorrebbe tappare la bocca ai parlamentari evocando il rispetto reciproco delle istituzioni. Ma che rispetto ha delle istituzioni un giudice che, da privato cittadino e non nel corso di un processo, pretende di dire alle Camere cosa devono o non devono fare?

Feroce la reazione, questa volta formale, ancora una volta di Gasparri, che annuncia una lettera al presidente della Repubblica, nonché presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e capo delle toghe, Sergio Mattarella, contro Magistratura Democratica. «La sinistra ha convocato Piacente, ma siccome l’audizione non ha ottenuto gli scopi prefissati, anzi ha ridimensionato la portata dell’inchiesta in corso, ora i giudici d’area dem protestano». Il parlamentare annuncia che si riserva di «valutare se rendere noti i contenuti dell’audizione, benché.segretata, perché un conto sono i segreti, altro sono i diritti delle persone, che in questo caso sembrano violati».

 

 

 

Se lo facesse, sarebbe una bomba. L’inchiesta batte in testa e, se tre indizi fanno una prova, l’attacco a Toti sembra sempre di più questione politica e non giudiziaria. Primo: il governatore è agli arresti ma i requisiti giuridici per il fermo sono stiracchiati, non potendo egli né continuare i supposti reati per cui è indagato né inquinare le prove. Secondo: è stato indagato e intercettato come fosse un mafioso, quindi con un abbattimento delle sue garanzie costituzionali, ma il procuratore è il primo a dire che Toti non è mafioso. Terzo: pur di incastrarlo è stato tentato un taroccamento del verbale dell’interrogatorio di Roberto Spinelli, sostenendo che avrebbe detto che il padre Aldo dava finanziamenti illeciti al presidente ligure quando invece, riascoltando il nastro, è risultato evidente a tutti che parlasse di finanziamenti leciti. Quanto ancora deve durare questa recita? 

 

 

 

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