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Liguria, contro Toti non una denuncia ma una strategia di logoramento

Pietro Senaldi
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Da come si sta sviluppando la commedia giudiziaria che vede, tra gli altri, alla sbarra nonché agli arresti domiciliari il presidente della Liguria, Giovanni Toti, c’è da domandarsi se lo scopo principale degli inquirenti sia far dimettere il governatore al più presto o accertare l’esistenza a suo carico di reati che fluttuano nelle parole delle intercettazioni ma al momento non hanno ancora trovato un ancoraggio nella realtà dei fatti. La super inchiesta alla quale da tre anni e mezzo lavorano ben cinque procuratori è nata senza una denuncia. Ancora si ignora la notizia di reato che l’ha innescata, tant’è che qualche osservatore politico ipotizza che il peccato originale di Toti sia stato stravincere le elezioni del 2020, dando consapevolezza all’opposizione che, per abbatterlo, non sarebbe bastata la politica; serviva un fattore esterno, potente e sconvolgente.

Dopo lungo lavoro d’indagine sono emersi tre capi di imputazione a carico di Toti e una telefonata alquanto infelice, nella quale il governatore, con tono gradasso, informava l’imprenditore Aldo Spinelli che la questione della spiaggia che interessava suo figlio era stata risolta (cosa peraltro non vera; ndr) e che non sarebbe stato sgradito un finanziamento elettorale. I tre capi di imputazione, per i quali venerdì il presidente è stato convocato in tribunale e si è avvalso della facoltà di non rispondere sono corruzione elettorale, senza l’aggravante mafiosa, finanziamento illecito tramite spot occulti nell’ambito di una campagna pubblicitaria di Esselunga e corruzione, avendo abusato della propria carica per fare favori in cambio di sostegno economico alla sua fondazione, sempre per scopi di raccolta voti.

 

Questo è stato l’impianto accusatorio, a lungo elaborato, con quasi diecimila pagine di inchiesta, prima di essere reso pubblico. La sensazione le contestazioni siano fragili e poco provate e che la montagna abbia partorito il topolino deve aver contagiato anche gli inquirenti. Non si spiega altrimenti la notizia fatta filtrare ieri dalla Procura, che informa che Toti è indagato anche per falso relativamente alla gestione e all’allargamento delle discariche in provincia di Savona, per il quale è necessaria l’autorizzazione della Regione. Si torna indietro alla prima legislatura del governatore, dal 2016 al 2020, periodo durante il quale l’imprenditore Pietro Colucci ha finanziato la fondazione del governatore con 195mila euro. Per questa erogazione, l’uomo è stato indagato nel 2021 con l’accusa di corruzione, in quanto le dazioni, avvenute in più riprese, non erano deliberate dagli organi sociali delle società dell’imprenditore e talvolta neppure inserite in bilancio. Una vicenda vecchia, che non ha portato all’incriminazione del governatore ma che da ieri è finita nel ventilatore mediatico malgrado il comportamento manchevole non sia attribuibile a Toti.

 

 

Perché? Non occorre essere particolarmente maliziosi per ipotizzare che la notizia potrebbe essere funzionale a una strategia mediatica dell’accusa, protesa a far uscire ogni giorno indiscrezioni vecchie ma in realtà nuove che contribuiscano a tenere alta la vicenda sui giornali e nelle televisioni e a rafforzare il pressing psicologico sull’indagato. Per le procure italiane infatti spesso vincere le battaglie è più importante che vincere la guerra. Se tra quattro o cinque anni Toti sarà assolto, nessuno andrà in procura a Genova a chiederne conto a chi lo ha accusato. Per uscirne da trionfatori ai pm basta ottenere a breve le dimissioni dell’indagato, che ne certificherebbero la fine politica. Vinto il processo mediatico e politico, quello giudiziario può anche andare a ramengo, tanto l’innocente ha già scontato la sua condanna, con infinitesimali speranze di riabilitazione. Finché resta agli arresti, Toti non può parlare e difendersi pubblicamente. L’unico modo per far sentire la sua voce è comunicare attraverso il suo avvocato, Stefano Savi, il che però non ha il medesimo impatto, oppure farsi interrogare e fornire la propria versione difensiva, sperando nella massima divulgazione.

E su questa seconda opzione che il governatore si starebbe orientando. Già la prossima settimana, o al massimo tra una decina di giorni, il presidente incontrerà i magistrati; una mossa processualmente inusuale, finanche azzardata e intempestiva, ma dettata dall’esigenza che l’accusato prova di comunicare con i propri elettori e la propria maggioranza. Toti non si sente finito e spera ancora di poter tornare in campo, anche se ogni giorno che passa è più difficile crederlo possibile. L’uomo ha tempra e determinazione, ma conosce la macchina politico -giudiziaria, che ha andamento da schiacciasassi. L’idea delle dimissioni ogni tanto inizierebbe a fare capolino nella sua testa. Il sindaco Marco Bucci, in un’intervista rilasciata a Giampiero Timossi, il brillante direttore dell’emittente locale Telenord, ha dichiarato che spera di tornare a lavorare con Toti. Ecco un uomo coraggioso; per come ragionano certi magistrati, basterebbe questo a giustificare un’indagine per associazione a delinquere.

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