Gianfranco Fini, da Fiuggi a Montecarlo: quel che resta e quello che a destra non gli perdonano
Da Fiuggi a Montecarlo. Senza ritorno. È in questo percorso che si racchiude tutta la vicenda umana e politica di Gianfranco Fini. L’ultimo capitolo (almeno per ora) è stato scritto ieri, con la condanna dell’ex presidente della Camera a 2 anni e 8 mesi di reclusione nell’ambito del processo per il famoso appartamento nel principato di Monaco, in boulevard Princesse Charlotte 14. Un processo con accuse di riciclaggio.
E si sa che quando c’è di mezzo una casa gli italiani drizzano le antenne. Non sarà la decisione dei magistrati, comunque, a mettere la parola fine alla carriera politica dell’ex leader di Alleanza nazionale. Perché quella, in realtà, si è chiusa da un pezzo. Da tempo Fini è un “uomo solo non più al comando”, e infatti anche ieri, fuori dal tribunale, non c’erano fan e sostenitori. Quella che una volta era la sua gente, il popolo della destra, lo ha mollato.
MISSONE IMPOSSIBILE
Eppure c’è stato un tempo in cui quest’uomo sotto processo ha compiuto un mezzo miracolo politico (con l’aiuto fondamentale di Berlusconi, naturalmente). Arrivato alla guida del Msi col compito quasi impossibile di sostituire Giorgio Almirante, ha dovuto fare i conti con un mondo che cambiava radicalmente. La caduta del muro di Berlino (con la fine delle ideologie) a livello internazionale e l’introduzione del sistema elettorale maggioritario a livello nazionale rischiavano di spazzare via la vecchia Fiamma tricolore. Gianfranco, invece, grazie al Cavaliere, è riuscito a portarla al suo massimo storico (prima di Fratelli d’Italia), inventandosi la svolta di Fiuggi e An.
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LA SVOLTA
Già, la svolta di Fiuggi. Un momento cruciale per la destra italiana. Oggi da sinistra viene usata come arma contro la Meloni («Fini sì che aveva fatto una svolta seria, che aveva detto parole chiare sul fascismo, mica come Giorgia...») ma la realtà è ben diversa. È vero, nelle tesi di quel congresso c’è scritto che «è giusto chiedere alla destra italiana di affermare senza reticenza che l’antifascismo fu il momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato». Ma poi (e questo, guarda un po’, i progressisti non lo ricordano mai) la frase prosegue: «Altrettanto giusto e speculare è chiedere a tutti di riconoscere che l’antifascismo non è un valore a sé stante e fondante e che la promozione dell’antifascismo da momento storico contingente a ideologia fu operata dai Paesi comunisti e dal Pci per legittimarsi durante tutto il Dopoguerra». Per questo, a Fiuggi, si chiedeva di consegnare alla storia sia il fascismo che l’antifascismo. La destra ha fatto il suo, la sinistra no...
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LO STRAPPO
Insomma, quel 1995 ha segnato sicuramente una tappa fondamentale nella storia della destra italiana, della sua naturale evoluzione. E tanto basterebbe per far diventare Fini un padre nobile anche della destra di oggi. E invece no. Perché poi, in pochi anni, l’ex leader di An ha rovinato tutto. C’è stato il litigio con Berlusconi, la scissione dal Popolo della Libertà, lo scandalo della casa di Montecarlo culminato con questa condanna. Dopo aver portato An a superare il 15%, Fini con Futuro e libertà è sprofondato nel 2018 allo 0,47%. La Meloni, proprio in quell’anno, con Fdi ha dovuto ricominciare da capo: dall’1,96%.
È andata bene, ma non era scontato. È questo “azzeramento” della destra che i militanti e gli elettori non hanno perdonato all’ex segretario del Msi. E, soprattutto, non gli hanno perdonato di averlo fatto nella speranza di piacere alla sinistra e di farsi accettare da quel mondo. Un errore politico sotto tutti i punti di vista, alla luce di com’è finita. Un errore che la destra di oggi, però, ha già dimostrato di non avere nessuna intenzione di ripetere.