Giorgia Meloni, le parole scelte dal premier: "Postura", "Natura", "Faccio"
Citando Nanni Moretti, anche se qui non c’entra molto, “le parole sono importanti” e ogni leader politico si caratterizza per un uso personale del linguaggio, alla lunga molto più decisivo e sostanzioso rispetto a look, pettinature, mimica facciale. Nel caso di Giorgia Meloni, in particolare, il linguaggio assume caratteristiche essenziali per comprenderne la piena maturazione di leader che in un anno e mezzo di governo ha modificato quei tratti che progressivamente le hanno fatto guadagnare la fiducia dell’elettorato.
Dalla conferenza programmatica di Pescara abbiamo “estratto” un repertorio verbale che ne dimostra innanzitutto l’originalità, anche all’interno del centrodestra che si è trovato più volte alle prese con neologismi o espressioni caratterizzanti per differenziarsi dal consunto politichese di matrice sinistra o di eredità democristiana. Cominciamo dalla fine, da Giorgia. «La maggior parte dei cittadini che si rivolge a me continua a chiamarmi, semplicemente, Giorgia. Non Presidente, non Meloni. Solo Giorgia. $ una cosa estremamente preziosa per me».
Di norma le donne in politica esigono di essere chiamate per cognome, sottolineando così il bisogno di autorevolezza, la necessità di essere prese sul serio. Giorgia questo problema non lo sente, è sì il presidente del Consiglio, il primo presidente del Consiglio donna, ma soprattutto la stessa ragazza di un tempo, la militante, appassionata di politica, «cui si può dare del tu senza formalismi e senza distanza». È una novità, perché nonostante il “meno male che Silvio c’è”, Berlusconi veniva avvertito distante, troppo ricco, troppo potente per la maggior parte dei suoi elettori. In quanto al Matteo più in auge, è stato Capitano, Giorgia invece resta Giorgia, lo ribadisce, non sono cambiata e non cambierò tantomeno adesso.
CORPO E SPAZIO
Postura è uno di quei termini che nella nostra lingua -e va detto, quella di Meloni è ricca, articolata, non si limita a 300 parole sempre le stesse- torna ciclicamente in voga. Compare due volte, «la giusta postura in Europa», «una postura radicalmente diversa da quella dei governi di sinistra». Ne fa un uso interessante perché suggerisce un modo di posizionare il corpo nello spazio, restituendo in questo modo alla politica un approccio fisico che si affianca alla comunicazione verbale per dare informazioni anche di natura psicologica. E dove sta la differenza rispetto ai governi di sinistra? Schiena dritta, coerenza, non afflosciarsi al primo alito di vento.
Compare natura tre volte in uno dei passaggi più significativi del discorso, a ribaltare l’assunto conformista secondo il quale i temi dell’ambientalismo sarebbero prerogativa esclusiva della sinistra. Sembra cioè che a destra non vogliamo lasciare la terra migliore di come l’abbiamo trovata.
Diverso però è l’approccio, che non implica soluzioni demagogiche e, peggio, criminosi atti eco-vandalici. «Noi siamo conservatori e tra le cose che vogliamo conservare e trasmettere ai nostri figli, più sana e più bella possibile, c’è proprio la natura», pilastro della nostra civiltà che non sia però ragione di arretratezza o sacrifichi posti di lavoro. Il termine va aggiornato in eco-pragmatismo, che a sinistra ignorano.
LE NOSTRE RADICI
Se c’è uno “scippo” particolarmente a me gradito è nel termine cultura, pronunciato ben quattro volte in un discorso politico. Un tempo non troppo lontano a destra c’era chi liquidava il tutto con espressioni del tipo, “con la cultura non si mangia”, mentre secondo Giorgia Meloni la questione è cruciale in particolare in un punto: non possiamo attivarci per rispettare le radici culturali di chi viene da lontano e al contempo rigettare le nostre, come se ne avessimo vergogna. Il riconoscimento pieno della cultura italiana ed europea è invece alla base del pensiero conservatore, avesse avuto il tempo e l’occasione di visitare la Biennale di Venezia, Giorgia si sarebbe accorta di quanto poco la sinistra, depositaria della cultura per diritto divino, difende le nostre origini e il nostro dna.
Da quando è presidente del Consiglio ha dimostrato al contrario di tenerci molto, esatto contrario di ciò che affermano gli altri. Voce del verbo fare in prima persona. Faccio. Per otto volte lo pronuncia decisa e non ha filiazione diretta con l’uomo del fare di berlusconiana memoria. Nella nostra lingua ci sono molti sinonimi per approfondire tale atteggiamento, però lei ha voluto mantenere la forma semplice e diretta, al presente, che può riguardare un importante provvedimento oppure per dare un messaggio chiaro, senza equivoci. «Faccio quello che faccio solo per gli italiani», Meloni qui parla da premier, non da leader politico impegnato in campagna elettorale. Sa di poter contare su fatti inequivocabili, anche i critici più accesi dovranno ammettere che sì, cose ne ha fatte molte.
FAVOLE E REALTÀ
Impossibile. Forse nelle favole, non nella realtà. Sembrava impossibile che il primo presidente del Consiglio donna fosse di destra, la sinistra sulla questione ci ha lavorato da decenni ed è stata costretta a inseguire. «Niente è impossibile per chi ha i piedi piantati a terra e lo sguardo rivolto verso l’alto. L’Italia può cambiare l’Europa e ha già cominciato a farlo», altro passaggio cruciale. Il successo di Giorgia è frutto della sua lunga scalata, della gavetta politica, della crescita esponenziale negli anni. Sembrava impossibile e invece è uno dei leader più accreditati, secondo la rivista Forbes la quarta donna più influente al mondo, a proposito di periodici ipotetici dell’impossibilità.
Fin dall’inizio sgombra l’equivoco sull’essere donna sola al comando, tipico difetto e limite della destra al governo negli anni passati. Ringrazia due volte la sua classe dirigente, «una splendida diapositiva di risposta» che è davvero un’immagine efficace e sintetica. Peraltro, tutto il discorso è costellato da immagini e figure, altro modo atipico in una conferenza politica, ed è questa una novità sostanziale: Giorgia è capace di farti vedere ciò di cui parla, l’astrazione che appartiene ad altri non è mai stata una sua prerogativa dialettica.