Basilicata, per Avvenire a vincere è stata l'astensione
Il centrodestra ha stravinto le elezioni regionali in Basilicata, ove il governatore Vito Bardi è stato riconfermato per altri cinque anni alla guida della regione con un’ampia maggioranza di consensi (il 56,63% dei voti contro il 42,16% dello sfidante di sinistra Piero Marrese). Forza Italia ha mostrato di essere forte anche senza il Cavaliere, anzi di godere una salute eccellente. Il campo largo si è restrinto ancora di più, con i 5Stelle che hanno subito una vera e propria débacle rispetto alla volta precedente. Come si vede, i dati politici che sono emersi dalle elezioni di domenica scorsa sono tanti e interessanti, tutti meritevoli di un titolo in prima pagina.
Avvenire, l’organo ufficiale della Confederazione Episcopale Italiana, ha fatto però una scelta diversa, controcorrente: ha messo sì le elezioni in Basilicata in apertura (molti giornaloni hanno relegato invece la notizia negli interni), ma evidenziando un ulteriore elemento, cioè il livello alto dell’astensione, che ha toccato il 49,8% degli aventi diritto al voto. In verità, quella del giornale dei vescovi non è una scelta anticonformista nel senso alto del termine, bensì una scelta politica a tutti gli effetti. Che stride molto con gli appelli che il giornale stesso continuamente lancia a non politicizzare le consultazioni elettorali. Ed è anche una scelta che non fa un buon servizio al lettore perché tende a nascondere, proprio gli elementi rilevanti di una corretta informazione, a cominciare dal nome e cognome di chi ha vinto e di chi ha perso che non può essere certo la “signora Astensione”.
Il campo largo a destra può allargarsi alle riforme
La scarsa affluenza alle urne, comunque la si giudichi, non è poi una novità, essendo ormai una costante di tutte le elezioni da qualche decennio a questa parte. Essa non costituisce giornalisticamente parlando una notizia, anche se per gli storici e gli esperti è sicuramente un fenomeno meritevole di studio e approfondimento. Da un punto di vista liberale, l’astensionismo non può poi considerarsi nemmeno riprovevole, in quanto è una scelta di pari dignità rispetto a quella di coloro che vanno a votare ed esprimono le proprie preferenze nelle urne. In sostanza, si tratta di un modo di dare un giudizio sui candidati che va comunque rispettato, al contrario di quel che pensa la teoria democraticista, non democratica, che pervade le nostre coscienze e costituisce un asse portante dell’ideologia nazionale. Giorgio Gaber aveva torto: la libertà non è partecipazione, ma è prima di tutto la capacità di poter disporre di sé stessi fino in fondo!
Comunque sia, nel caso di Avvenire, l’intento tutto politico è di nascondere la crisi e la difficoltà della sinistra, a cui, non si sa come e perché, una parte significativa del corpo episcopale italiano si è da tempo votata. Basta scorrere l’occhio un po’ più giù del titolo principale per accorgersi delle propensioni politiche del quotidiano vescovile, oggi diretto da Marco Girardo. Sempre in prima pagina, viene infatti richiamata l’intervista a Marco Tarquinio che occupa un ampio spazio nelle pagine interne. In essa, colui che è stato fino a poco tempo fa il direttore del giornale ufficializza la sua candidatura alle prossime elezioni europee nel Partito Democratico di Elly Schlein. Insistere sulle performance certo non lodevoli del centrosinistra non sarebbe stato certo un bel regalo per colui a cui si vuole tirare la volata! Né, possiamo aggiungere, per il partito di riferimento di quei cattolici a cui la loro fede dovrebbe ispirare ben altre e diverse scelte politiche.
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Il punto sta proprio qui: come ci si può alleare, fino a diventarne un megafono, di un partito che ha un programma che si pone in antitesi con i punti fermi della morale cattolica, a cominciare dal diritto alla vita che è proprio di ognuno? Di un partito che nega la famiglia, così come l’esistenza di due generi sessuali, che esalta l’aborto inteso come “diritto”, in sostanza che nega i capisaldi dell’antropologia cristiana? Tarquinio, nella sua intervista, ammette la difficoltà, che egli giudica momentanea e non strutturale come invece è, fra mondo cattolico e Pd. Non esita però ad aggiungere che, avute diverse offerte, non ha avuto un minuto di dubbio ad accettare quella del Pd perché questo partito sarebbe l’unico a conservare oggi gli spazi per posizioni non omologate o mainstream (Tarquinio usa proprio questo termine). Al che sorge una domanda: ma in quale mondo vive Tarquinio? Cosa vede, o non vede, della realtà effettuale?
Le sue affermazioni più che un paradosso sembrano il frutto di un’allucinazione, con rispetto parlando, soprattutto se fra i seguaci di una cultura non mainstream egli include, come è giusto che sia, i cattolici. Che spazi ci sarebbero per i cattolici in un partito che a Verona, per fare un esempio, qualche settimana fa ha chiesto le dimissioni della capogruppo in consiglio comunale che aveva votato una mozione antiabortista? Il Pd è oggi un partito in cui la componente cattolica non ha nessun peso, né di fatto né tanto meno da un punto di vista culturale. Quei cattolici che si ostinano a rimanervi, piuttosto che “adulti”, come si definirono un tempo, sembrano essere diventati completamente ciechi e inconsapevoli.