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Schlein, cortocircuito Pd: il suo nome nel simbolo ma no al premierato

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 I comunisti italiani (ex, neo e post) anche stavolta non si sottraggono alla regola dei trent’anni: cioè si accorgono delle novità e ne prendono atto, in media, almeno con tre decenni di ritardo. Infatti la personalizzazione estrema della politica, il riferimento al leader più che al partito, sono ormai fatti acquisiti nell’Occidente avanzato almeno dagli anni Novanta del secolo scorso, e viaggiano mano nella mano con la dimensione ipermediatizzata delle campagne elettorali: ovvio che a quel punto molto – se non tutto – si giochi sul volto del leader. Inutile girarci intorno: è lui (o lei) il “programma”, e il resto rimane necessariamente sullo sfondo.

Per chi ama studiare questa dimensione della politica contemporanea, carica sia di pregi che di rischi, la differenza – al massimo – sta tra i leader chiamati per cognome, cosa che segnala un rapporto rispettoso ma più distante da parte degli elettori, e quelli chiamati invece per nome, che possono contare su una carta speciale, un autentico jolly emotivo, e cioè una relazione umana calda e diretta con il loro pubblico. Non è un caso se gli ultimi tre leader della destra italiana siano sempre stati chiamati per nome dai loro sostenitori (Silvio, Matteo, Giorgia): mentre alzi la mano chi ricordi un solo leader della sinistra negli ultimi dieci anni che abbia suscitato un simile senso di familiarità affettuosa presso la sua gente. Ma non divaghiamo e torniamo alla regola dei trent’anni: si è dovuta attendere la giornata di ieri, 21 aprile 2024, affinché Elly Schlein - determinando peraltro una catena di crisi isteriche nel partito- proponesse di inserire il proprio cognome nel simbolo per le Europee (...)

 

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