Schlein e Conte, perché le inchieste dei pm fanno comodo a entrambi
A prescindere dalle evidenze della cronaca, il Pd è convinto di non essere alle prese con una questione morale interna. Tuttalpiù con casi di mariuoli isolati. La paura non è di avere dei ladri di polli, di tessere o di voti in casa; quella è una realtà che tutti i dem sapevano da prima delle inchieste di Bari e di Torino. L’unico problema a riguardo è come riverniciarla per ritoccare l’immagine davanti all’elettorato che ancora crede i dem più onesti degli altri solo perché lo ha detto cinquant’anni fa Enrico Berlinguer a un giornalista amico, Eugenio Scalfari. Probabilmente per mancanza di altri argomenti validi più che per altro.
Quello che spaventa davvero i dem è la rottura del rapporto privilegiato tra il partito e la magistratura della quale le inchieste di questi giorni potrebbero essere il segnale. A Bari finisce in manette il sistema con cui il governatore Michele Emiliano e il sindaco Antonio Decaro avevano allargato a dismisura il consenso a colpi di favori alle zattere centriste, un mondo politico di mezzo sempre in compravendita: acquista a poche lire voti e grazie a essi si piazza al miglior offerente. A Torino si scoperchia il pentolone delle correnti che gestiscono l’amministrazione della città da quasi mezzo secolo; nel giro di pochi anni, tre inchieste mettono a processo gli altarini dei tre capi che avevano in mano, e alcuni ancora hanno, il Pd, le commesse, gli affari e le società pubbliche, che in città sono tutt’uno.
QUANTI SOSPETTI - Al Nazareno più di un politico sarebbe convinto che il Pd a processo dalle Alpi al Tacco d’Italia sia la prova che il cosiddetto partito dei giudici, quella minoranza rumorosa che fa politica nei tribunali, abbia cambiato cavallo, saltando da quello dem a quello grillino. M5S infatti darebbe più garanzie alle toghe di mantenere quella che loro chiamano autonomia garantita dalla Costituzione e tutti gli altri ritengono un’intollerabile condizione di superiorità alla legge e agli altri poteri dello Stato, che li rende arbitri delle vite altrui e influenti padroni della politica senza mai avere responsabilità né controlli.
Allarme "franchi tiratori", pronti a impallinare Schlein: "Chi nel Pd tifa Conte"
Sia Bari sia Torino infatti sono due Procure che hanno nomea di avere il cuore a sinistra. In Puglia regna Roberto Rossi, procuratore anti-mafia fin dai tempi di Michele Emiliano e Gianrico Carofiglio in toga. Un duro e puro, uno che, mentre i suoi pm ne indagavano i consiglieri, ha fatto una conferenza stampa per dire che Decaro non aveva fatto nulla. A Torino c’è una supplente, Enrica Gabetta, ma l’ufficio segue ancora la linea che fu di magistrati che non hanno mai fatto mistero delle loro simpatie, da Luciano Violante a Giancarlo Caselli, passando per Marcello Maddalena fino ad Armando Spataro. Eppure l’ultima ordinanza sembra scritta apposta per mettere in croce i dem: centinaia di pagine, intercettazioni a pioggia, tutto nel ventilatore, nomi, indizi, allusioni, anche cose non strettamente di valenza penale.
È forse un messaggio che molti giudici la pensano ormai come Marco Travaglio: il Pd è alleato del centrodestra e Alfredo Bonafede non è un avvocato di incerte fortune ma è stato il più grande Guardasigilli che l’Italia abbia mai avuto?
Certo, a Torino le toghe hanno massacrato la sindaca Chiara Appendino, impedendole la ricandidatura con un’inchiesta poi finita in nulla, scaturita da un esposto in procura dell’attuale sindaco quando era capogruppo dell’opposizione. La denuncia la accusava di aver restituito dei soldi al Comune che il suo predecessore, Piero Fassino, invece voleva spendere. Accusa: falso in bilancio perché era sbagliato l’anno di rendicontazione.
Sentenza: assolta. Effetti: M5S fuori dalla corsa per il Municipio. Però in tre anni le cose possono cambiare... In realtà i piddini in prima linea sul fronte giudiziario, quelli piemontesi, e in parte anche quelli pugliesi hanno un timore diverso da quelli romani. La paura è che Elly Schlein sia congiuntamente alleata di Giuseppe Conte nel processo alla moralità dei dem. Il leader grillino cavalca i guai giudiziari del Pd per soffiargli voti alle Europee, e c’è chi a Torino spera addirittura nell’aggancio. La segretaria approfitta delle inchieste per liberarsi dei caporioni locali che sul territorio sono molto più forti di lei e le impediscono di governare il partito. D’altronde non è un mistero che lei non controlla il partito, tant’è che, in Puglia, Emiliano pensa di forzare la norma sul divieto del terzo mandato e che, in Piemonte, Schlein ha dovuto rinunciare a candidare alla guida della Regione la vicepresidente del Pd, Chiara Gribaudo.
Elly Schlein e Conte si incrociano: è gelo, il dettaglio sulla stretta di mano
Le inchieste sarebbero allora un modo, peraltro neppure così inedito, per regolare le cose dentro i dem. A Torino ne hanno fatto le spese prima Stefano Esposito, ora i Gallo (papà Sasà e figlio Raffaele, presidente in Consiglio Regionale), e su Mauro Laus, l’onorevole più potente, di rito bonacciniano, pende da un anno una brutta inchiesta per utilizzo improprio di proventi derivanti dalle commesse pubbliche; attualmente è persa nelle nebbie del tribunale, ma ritirarla fuori è un attimo. Elly in città si è vista una volta, forse due.
Si può fidare di poca gente, l’assessore alla Transizione Ecologica e alla Mobilità, Chiara Foglietta, il segretario regionale Domenico Rossi, ma soprattutto la vicepresidente del Senato, Anna Rossomando, politicamente non particolarmente brillante, ma erede del compianto Antonio, penalista di grido a Torino, dai rapporti fitti e amichevoli con i pm, che sarebbero transitati di padre in figlia.
INCONTRO FREDDO - Alla luce di queste considerazioni, si presterebbe a più interpretazioni la lettura del fatto politico di ieri, la stretta di mano, tiepida per non dire fredda, tra Conte e Schlein, intervenuta a un convegno organizzato da M5S sulla crisi idrica. Era il primo incontro dalla rottura di Bari, quando il leader grillino ha fatto saltare le primarie della sinistra perla scelta del candidato sindaco, intimando al Pd di ritirare dalla corsa Vito Leccese, vicino a Decaro, e sostenere il suo campione, l’avvocato Michele Laforgia. Giuseppi si è presentato tardi all’appuntamento, perdendosi la relazione di Elly, poi il saluto tra i due è stato talmente rapido da obbligare i cronisti a chiederne una replica a favore di telecamere. Con entrambi, la domanda è sempre la stessa: ci sono o ci fanno?
Schlein è pronta ad abbandonare il sogno del campo largo dopo i continui tradimenti di Conte o sta facendo il suo stesso gioco? E lui, dopo la campagna elettorale per le Europee, la smetterà di giocare contro il Pd?