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Pd, la farsa del codice etico: dem umiliati, scoppia la rivolta

Fausto Carioti
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Un codice etico di autoregolamentazione che prevede regole già previste da altri codici. La mossa di Elly Schlein dopo gli scandali in cui è finito il suo partito a Bari e Torino è tutta qui. È anche lo strumento con cui la segretaria del Pd non vuole cedere a Giuseppe Conte sul terreno della “questione morale”, e spera di convincerlo ad allearsi con lei alle elezioni amministrative e politiche. Lo ha preparato il senatore Antonio Misiani, commissario del Pd per la Campania, sotto forma di “Regolamento per la trasparenza delle candidature Pd alle amministrative 2024”, ma l’idea è di adottarlo ovunque.

Impone la «verifica preventiva» delle condizioni di candidabilità e la sottoscrizione, da parte dei candidati Pd, di una dichiarazione con cui s’impegnano a denunciare «eventuali tentativi di condizionamento del voto, di voto di scambio, di intimidazione, di corruzione o di concussione nel corso della campagna elettorale e dell’eventuale mandato amministrativo».

Un annuncio comodo ai fini propagandistici, perché permette a Schlein di raccontare che ora tutto cambia. Inutile nella sostanza e nella pratica: quelle regole già sono previste da anni, nel codice etico del Pd e nelle leggi dello Stato italiano, che obbligano gli eletti a denunciare quei reati, e la loro efficacia si è vista. Facile la battuta di Carlo Calenda: «Ma davvero questo impegno non era già in vigore? I deputati erano esentati dal dovere di denunciare il voto di scambio? Secondo me non funziona molto come narrazione».

 

LE LISTE “PURGATE”
Dentro al Partito democratico, appena si esce dal giro delle amazzoni e dei pretoriani della segretaria, l’accoglienza non è migliore. C’è il timore (fondato) che la campagna moralizzatrice di Schlein sia il pretesto per una purga: correnti = cacicchi = corruzione. E che dunque, assieme all’obiettivo di mostrarsi all’altezza degli standard etici pretesi dai Cinque Stelle per le future alleanze, ci sia quello di azzerare ogni forma di dissenso interno, iniziando dalle liste per le prossime elezioni.

I primi a non digerire la narrazione di “Elly che toglie il marcio dal partito” sono gli esponenti storici, quelli che Schlein non ha portato con sé dai movimenti e dai cespugli di sinistra ed erano lì mentre la futura segretaria, da fuori, proclamava di voler «occupare il Pd» (operazione, poi, perfettamente riuscita). Non accettano di essere dipinti come inerti dinanzi al malaffare (nel migliore dei casi) o avvezzi al voto di scambio e alla corruzione (nel peggiore) e non condividono la continua subalternità a Conte, che ha portato il Pd, come dice l’ex Matteo Renzi, a diventare «la sesta stella» del M5S.

Pina Picierno, vicepresidente del parlamento europeo, è una di questi esponenti. Rischia di non essere rieletta a giugno, visto che Schlein non intende puntare su lei, come su molti altri uscenti. Ieri Picierno ha rovinato l’atmosfera di rigenerazione etica dicendo in pubblico quello che lì dentro sanno tutti: «Segnalo che ai candidati del Pd è richiesta da sempre la presentazione del casellario giudiziario e che il codice etico del Pd esiste dal 2008». La questione, insomma, «non sono le “cartuscelle” da presentare, altrimenti saremmo immuni da malcostume e infiltrazioni», ma è «organizzativa e politica». Pensiero particolare per la segretaria: «Tutto serve, tranne che usare la questione morale come una clava per dire “ok, ora comando io”». Che è proprio ciò che sta accadendo.

 

L’ESAME DEL SANGUE
Pure chi finge di prendere sul serio il regolamento scritto da Misiani, fa sapere a Schlein che la sottomissione politica a Conte e ai suoi deve finire. Piero De Luca, figlio di Vincenzo e politicamente vicino a Stefano Bonaccini, ricorda che i principi del nuovo documento erano «già presenti nel codice etico del Pd approvato nel 2008». E alla segretaria e al gruppo dirigente che l’affianca dice: «Evitiamo di farci fare l’esame del sangue dal M5S». Idem Gianni Cuperlo, che rifiuta «lezioni di moralità dal movimento Cinque Stelle» e chiede di «astenersi dall’additare aree culturali e correnti come la fonte di ogni regressione etica».

Anche perché Conte, il concupito, reagisce nel modo più scontato. Non si smuove di un millimetro su Bari, sostenendo che a questo punto sarebbe «surreale» se il M5S rinunciasse al proprio candidato sindaco, Michele Laforgia. E detta le regole alla concorrente e possibile alleata, invitandola a «cambiare il Pd prima che il Pd cambi lei». Il sindaco piddino di Bergamo, Giorgio Gori, gli risponde «Come si permette?», e assieme a lui reagiscono in tanti. Replicano al capo dei Cinque Stelle, ma è dalla loro segretaria che vorrebbero sentire una difesa orgogliosa del partito, che anche stavolta non arriva.

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