Antonio Decaro, le tre giravolte del sindaco sulla mafia a Bari
Dopo le quattro versioni fornite dalla premiata ditta Emiliano&Decaro rispetto alle presunte anomale “chiacchierate” con la famiglia Capriati (dialogo con la sorella del boss, anzi dialogo con il boss in persona, anzi nessun dialogo, anzi dialogo in piazza con alcuni “ragazzi”...), ecco arrivare le tre versioni scodellate in pochi giorni dal solo sindaco di Bari Antonio Decaro sul problema delle infiltrazioni criminali in città. Ripercorriamole in una ideale sessione alla moviola.
Prima versione. Nel momento in cui il Viminale annuncia una serie di accertamenti previsti dalla vigente normativa antimafia, Decaro si abbandona a un’autentica sceneggiata, roba da Mario Merola dei tempi d’oro: lacrime, tifo (più o meno organizzato), faziosità, rabbia, spirito incendiario. E poi, agitandosi, sbracciandosi, armeggiando con la fascia tricolore, la frase-chiave, e cioè uno sdegnoso rifiuto di qualunque accusa: «Oggi è stato firmato un atto di guerra nei confronti della città di Bari». Chiaro, no? E – su queste basi – parte da sinistra la narrazione mediatica e giornalistica che ben conosciamo: la primavera di Bari, Bari ripulita, Bari come Stoccolma e Copenaghen, Bari paradiso di turismo e cultura. Come dire: ma quale mafia, ma quali clan, ma quale criminalità? Qui su Libero, però, la nostra Annalisa Digiorgio vi aveva avvisato: nessun membro della famiglia Capriati si è pentito, né si è dissociato, né ha confessato. Semmai, sono tutti rimasti in città, proseguendo imperterriti nelle loro attività criminali. Fino – come sappiamo – ai fatti di sangue di qualche giorno fa.
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Seconda versione. Con il trascorrere delle ore, già la scorsa settimana, Decaro inizia ad aggiustare il tiro, e chiama due volte in causa la destra: per un verso come parte politica sollecitante rispetto all’iniziativa del ministro Piantedosi, e per altro verso come schieramento di appartenenza delle due consigliere indagate in prima battuta. Piccolo dettaglio: le due esponenti politiche erano effettivamente state elette a destra, ma poi erano con modalità varie transitate verso sinistra. Eppure per Decaro la colpa era ed è tutta della destra: «Mi inquieta la mossa della destra alla vigilia del voto a Bari. Non volevo imbarcare le consigliere indagate».
Infine, dopo la bomba giudiziaria di ieri e la deflagrante indagine sull’assessora regionale Maurodinoia, arriva la terza versione di Decaro: «Rispetto al voto di scambio, è una questione che non mi sorprende. Per primo, durante le ultime elezioni, ho fatto delle denunce circostanziate, ne ho fatte tre. Due di quelle erano per persone che votavano per me, per liste legate al mio nome». E ancora, incredibilmente: «L’inquinamento del voto, la corruzione, la compravendita del voto ci sono e sono cose che dobbiamo attenzionare tutti». Ah sì? Ma se è così (come Decaro 3 dixit), se cioè il problema esiste, anzi se si tratta di un problemone che lui stesso rivendica di aver posto e denunciato perfino rispetto al proprio schieramento, come mai (versione Decaro 2) qualche giorno fa sembrava gettare la croce addosso alla destra, e ancora prima (versione Decaro 1) respingeva come “atto di guerra” la pura e semplice decisione del Viminale di disporre ulteriori accertamenti?
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La triste realtà è che Decaro ha fatto tutto da solo, si è sparato sui piedi. Se invece, come questo giornale gli aveva – purtroppo inutilmente – suggerito, il sindaco avesse da subito abbassato i toni, assicurando senza polemiche leale collaborazione istituzionale, oggi forse avrebbe potuto gestire meglio la complicatissima situazione in cui adesso si trova. E invece – come ben sappiamo – Decaro ha preferito la via delle piazzate, delle chiassate, forse nell’illusione (sua e dei comunicatori che lo assistono) che la circostanza potesse trasformarsi in un boomerang per il centrodestra e in un clamoroso lancio – in sequenza – del suo candidato alle primarie baresi del Pd, poi della sua candidatura alle elezioni Europee, e poco dopo di una sua scalata alla leadership nazionale dem. E però, come si vede, la tattica “casino più martirio” non ha funzionato.
A ben vedere, due cose appaiono assolutamente inaccettabili nel comportamento suo e di tutta la sinistra. Da un lato, un’attitudine costante alla manipolazione e alla strumentalizzazione degli eventi, alla riduzione di ogni comunicazione a una pura dimensione di propaganda. Dall’altro, la presunzione di poter costantemente assegnare a se stessi certificazioni di immunità e agli altri patenti di mafiosità. Meglio – molto meglio – essere prudenti e garantisti sempre, verso amici e nemici, e soprattutto applicare costantemente il medesimo standard. Chi invece, credendosi furbissimo, cambia criterio di giudizio a seconda delle circostanze, finisce nei guai. O, ancora peggio, nel ridicolo.
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