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Sfiducia, dopo Salvini tocca a Santanché: tutto pronto per il secondo flop della sinistra

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Tanto per capire: nemmeno Elly Schlein ha votato la mozione di sfiducia nei confronti di Matteo Salvini, preferendo dedicarsi agli impegni televisivi. E come lei risultano assenti alla votazione - tra i tanti- Piero Fassino, Chiara Gribaudo, Enrico Letta e Roberto Speranza. Tolto l’ex sindaco di Torino, gli altri sono tra coloro che quella mozione l’avevano firmata. La segretaria del Pd e Giuseppe Conte, i due leader dell’opposizione, si sono guardati bene dal prendere la parola nel dibattito. Hanno preferito non metterci la faccia, mandando avanti in aula le seconde e terze file, Lia Quartapelle a fare la dichiarazione di voto per i democratici e Vittoria Baldino per i Cinque Stelle, come accade nelle occasioni di minore importanza.

Sul fronte opposto, i grandi assenti (annunciati) sono i due diretti interessati: il vicepremier Salvini, che a fine giornata incassa la bocciatura della mozione con 211 voti contrari e appena 129 favorevoli, e il ministro del Turismo Daniela Santanchè, che oggi, nell’aula che non la vedrà presente, potrebbe avere numeri ancora migliori nella mozione che la riguarda.

Non fosse stata approvata, in mezzo alle discussioni sui due ministri, la proposta di legge che dichiara «monumenti nazionali» i teatri italiani, quella di ieri a Montecitorio sarebbe insomma stata una giornata inutile, consumata in un rito stanco. Tutto si è svolto nel modo più prevedibile, incluse le divisioni nell’opposizione.

Matteo Renzi, infatti, si è smarcato ancora una volta dagli altri e ha annunciato che gli eletti di Italia Viva voteranno «no» alla mozione contro Santanchè. «Noi non chiediamo le dimissioni per un avviso di garanzia o per un rinvio a giudizio», ha spiegato l’ex sindaco di Firenze. «Il garantismo è tale se si applica a tutti, soprattutto agli avversari». Contrario a quella mozione, tra i cugini/rivali di Azione, anche Enrico Costa (che ieri non ha votato contro Salvini). Ricetta opposta nelle altre sigle della minoranza: «Garantismo per cosa», dice il capo del M5S Conte, «quando c’è il disonore delle istituzioni?».

La mozione contro Salvini poggiava su alcune sue dichiarazioni in favore della Russia e di Vladimir Putin, tutte risalenti a prima dell’invasione in Ucraina, e concludeva che il ministro «non può rappresentare degnamente la repubblica italiana» e dunque deve lasciare il governo. Le opposizioni sapevano che le speranze di farlo dimettere erano nulle, però in quel modo contavano di mettere in imbarazzo i suoi alleati, costringendoli a difendere un leader vicino al Cremlino.

Ma l’intervento fatto martedì dalla Lega, in cui si chiariva che «i propositi di collaborazione puramente politica del 2017 tra la Lega e Russia Unita», il partito di Putin, «non hanno più valore dopo l’invasione dell’Ucraina», e che la linea del partito di Salvini è quella «confermata dai voti in parlamento», allineati con la politica filoatlantica del governo, ha tolto ogni significato alla recita di ieri.

La Lega e i suoi alleati si sono presentati a ranghi quasi completi, in grado di reggere l’urto anche se gli avversari fossero stati tutti in aula. Negli scranni di Forza Italia, dopo quasi un mese di assenza, è riapparsa Marta Fascina, non più vestita a lutto, ma con un elegantissimo completo gessato blu. I numeri finali sono impietosi: 340 deputati votanti, contrari alle dimissioni di Salvini 211, favorevoli appena 129. Quando i gruppi di opposizione al completo (Pd, M5S, Azione, Italia Viva, Avs e +Europa) ne contano 156.

Bilancio di fine giornata: ne escono rafforzati il governo e la sua politica estera, con la Lega che ha espresso in termini chiarissimi la propria distanza dalla Russia e da Putin; blindato Salvini, attorno al quale si è compattata tutta la maggioranza; nuove fratture tra le opposizioni sul tema, cruciale, dei rapporti tra politica e giustizia, che saranno confermate stamattina nella votazione della mozione contro Santanchè. La cui posizione, secondo quanto trapela da palazzo Chigi, potrebbe cambiare solo in caso di rinvio a giudizio. In poche parole, la certificazione dell’incompetenza di chi ha voluto e firmato le due mozioni.

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