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Giorgia Meloni, blitz dell'Agcom: bavaglio in tv prima delle elezioni

Daniele Capezzone
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Occhio, c’è chi lavora per fare della famigerata “par condicio”, che di per sé è già una gabbia anacronistica, un gabbione ancora più stretto e diabolico, da utilizzare – elementare, Watson – come arma contro il governo e contro il centrodestra. Senza girare intorno al problema, dentro l’Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) è partita, in vista delle Europee, quella che potremmo chiamare l’operazione “ingabbia-Meloni”.

Premessa: una complicatissima normativa affastellata negli anni distingue tra “periodi non elettorali” e “periodi elettorali”. In entrambi i casi le tv sono soggette a doveri di completezza e correttezza dell’informazione, ma – quando si entra nella fase conclusiva di una campagna elettorale, e ciò è comprensibile – gli obblighi si fanno più stringenti.

A onor del vero, in tempi di canali social, di informazione che passa dagli smartphone, o che – sui media tradizionali – è sfaccettata e sminuzzata tra centinaia di canali (generalisti o no, a pagamento o no, satellitari o no), pensare di mettere le mutande al mondo con una regolamentazione ossessiva è da pazzi. Significa ragionare nel 2024 come se ancora tutta l’informazione dipendesse da uno o due canali del vecchio servizio pubblico radio-tv, roba da 1977-78. Ma tant’è.

 

 

 

COMPARAZIONI E MORALE
Non solo. Una fotografia basata sui gruppi parlamentari esistenti o sui risultati delle elezioni precedenti rischia di essere inattendibile rispetto ai mutamenti del quadro politico. Per capirci: i grillini (allora piccini ma in crescita strepitosa) sarebbero stati penalizzati da un criterio meramente quantitativo nel 2013 e nel 2018, e lo stesso sarebbe accaduto nel 2022 per Fratelli d’Italia, o – tornando assai più indietro nel tempo – per Forza Italia nel 1994. Dopo di che, in questo contesto di per sé assai discutibile, spetta all’Agcom verificare il rispetto delle norme, e – eventualmente – far scattare sanzioni.

Dove sta il problema? Per anni l’Autorità si è basata su criteri esclusivamente quantitativi (il minutaggio delle presenze di partiti ed esponenti politici). Davanti alle richieste della magistratura amministrativa di integrare questi criteri con elementi più “qualitativi”, e quindi – in ultima analisi – di introdurre elementi di flessibilità e ragionevolezza per consentire un rispetto sostanziale della parità di condizioni tra partiti e candidati senza impazzire con il solo strumento del bilancino, l’Agcom si sta preparando a un vero e proprio blitz che irrigidirebbe ulteriormente le cose. Come? Varando un ulteriore e ancora più pazzotico obbligo quantitativo, che imporrebbe una fantomatica ponderazione tra il tempo assegnato ai partiti e gli ascolti della fascia oraria in cui è inserito il programma in cui i vari politici vengono ospitati.
Morale: anziché garantire in termini generali e sostanziali un equo trattamento di tutti i concorrenti alle elezioni, si introdurrebbero maglie ancora più strette per il gabbione, “algoritmizzando” l’obbligo di presenza di ciascun soggetto politico, fascia oraria per fascia oraria.

 

 

 

ULTRADISCREZIONALE
Il che non solo appare poco fattibile in termini di costruzione delle trasmissioni (provate voi a muovervi in questo caos, dando la parola a tutti ed evitando di incorrere in sanzioni), ma soprattutto non ha alcuna certezza di produrre effetti efficaci: che si fa se una fascia d’ascolto teoricamente alta fa flop? Che si fa se – dall’altra parte, su un altro canale – c’è un superprogramma o una superpartita che catturano più ascolti del previsto? Sono gli inevitabili effetti collaterali a cui vanno incontro i pazzi che pretendono di fermare il mare con le mani.

Attenzione, però: perché fin qui c’è solo l’ossessione regolatoria. Poi scatta la parte più furbesca e insidiosa, perché sarà sempre l’Agcom – a candidature presentate – a vigilare su tutto. Poniamo il caso che, ad esempio, Giorgia Meloni decida di candidarsi alle Europee. Ovvio che, dall’eventuale momento della candidatura fino al 9 giugno, la premier non smetterà di essere premier, e quindi, al di là degli eventi strettamente elettorali, gli organi di informazione dovrebbero dare adeguatamente conto dell’attività politica complessiva e delle iniziative del primo ministro.

Il fatto è che l’Agcom si è riservata un potere ultradiscrezionale e sovrano di valutare se, quando Meloni parla di un certo tema, lo stia facendo come capopartito o come capo del governo. Una volta introdotto l’elemento inafferrabile che abbiamo visto prima (le fasce orarie, gli ascolti, una par condicio estesa a dismisura e sottoposta a sanzioni-monstre), ogni testata radiotelevisiva, ogni direttore, ogni redazione, saranno esposti a dilemmi ingestibili: che fare se la Meloni fa un annuncio sui social? Come darne conto? Come trattare un’iniziativa del governo? Come “conteggiare” tutto?

Considerate – in parallelo – il fatto che lo sport più praticato, durante la campagna elettorale, sarà quello di presentare raffiche di esposti e segnalazioni all’Agcom stessa da parte dei partiti che si riterranno lesi. E lì – nel caos e nell’arbitrarietà generale – potrà accadere di tutto: sanzioni incredibili, obblighi di recupero deliberati in modo assai discutibile, polemiche giornalistiche sulla sola presentazione di un esposto (indovina contro chi e a favore di chi...).

Va aggiunto che esiste un’ulteriore nozione: quella del “tempo notizia”, cioè il tempo in cui il giornalista parla di un soggetto politico senza dare direttamente voce a un suo esponente. Questo “cuscinetto” di riequilibrio come sarà valutato dalla solita Agcom? La quale – per essere chiari – assommerà, calcisticamente parlando, le funzioni di arbitro, guardalinee, var e giudice sportivo. Tutto insieme. Con discrezionalità immensa e sanzioni che già terrorizzano testate e direttori. Sarà bene che qualcuno ci metta la testa e le mani, prima di ritrovarci non in una campagna elettorale, ma in una camicia di forza.

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