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8 marzo? La lotta tra donne, femministe e trans: cosa c'è dietro alla battaglia

di Costanza Cavalli martedì 27 febbraio 2024

4' di lettura

Tra festival queer, la ricerca biomedica che consentirebbe ai transessuali di allattare e l’uso sempre più comune del termine “persone con utero” per indentificare le donne, le femministe non si sentono tanto bene. Partiamo dalla vetusta ricorrenza: si avvicina l’otto marzo e il Comune di Verona per celebrare la Giornata internazionale dei diritti delle donne ha organizzato convegni, incontri, spettacoli e mostre dal 26 febbraio al 5 maggio. In quanto donna, nata negli anni Novanta, pertinacemente asserragliata nell’articolo 21 della Costituzione, posso permettermi di essere intollerante anche verso un’unica giornata di manifestazioni, di quei fiorazzi pelosi che sono le mimose e di slogan bisunti. Ma ci sentiamo quantomeno di suggerire che più di due mesi di eventi per glorificare “il punto di vista femminile” sminuisce l’importanza di una ricorrenza. Come se non bastasse, la rassegna del capoluogo si è aperta con la presentazione della “Bibbia Queer”: testo di cui ha raccontato ieri su queste pagine Alessandro Gonzato e che parla di “un Gesù queer testimone di un Dio queer”. Ottocento chilometri più a sud, un’altra città ha deciso di dare spazio al “pensare queer”: a Bari, il 2 e 3 marzo, ci sarà il festival “Bari Diversa”, incontri e dibattiti al teatro Piccinni. Nella presentazione della due giorni si legge: «Queer letteralmente significa “strano” e deriva dal tedesco quer, “diagonale”. Sta a indicare chi non si riconosce nei binarismi e non vuole chiudersi in una definizione vincolata alle preferenze sessuali».

E viene citata prima Emily Dickinson («Dì tutta la verità ma dilla obliqua»), poi Friedrich Nietzsche («Ogni verità è curva»). A dimostrazione che gli organizzatori niente sanno di letteratura men che meno di filosofia. La poesia è polisemica per definizione, sì, può avere più significati, ma non è interpretabile alla viva il parroco: per Dickinson la verità va detta di sghimbescio, è una luce troppo forte da sopportare e quindi “deve abbagliare gradualmente / O tutti sarebbero ciechi”. Nietzsche parla di “verità curva” nell’elaborare la teoria dell’eterno ritorno dell’uguale. E infatti la citazione per intero, non nella versione piegata alle necessità di chi la utilizza, è «Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo» (sta in Così parlò Zarathustra). Ceduto l’otto marzo all’“obliquità” (sic), passiamo alla capacità di produrre latte da parte delle donne transgender: secondo un pool di esperti dell’Ospedale universitario del Sussex, il latte prodotto dai maschi biologici che si indentificano come donne, ovviamente sotto cura ormonale, sarebbe «il cibo ideale per i neonati», paragonabile a quello prodotto «da una donna dopo la nascita del bambino».

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Apriti cielo: secondo Lottie Moore, membro di uno dei più importanti Centri studi britannici, Policy Exchange, la dichiarazione dell’ospedale è «squilibrata e ingenua», e «il benessere di un bambino dovrebbe sempre avere la precedenza rispetto alle politiche gender e alle convinzioni che non si fondano sull’evidenza scientifi ca». Milli Hill, attivista per i diritti delle donne, è stata più caustica: «I maschi, comunque si identifichino osi descrivano», ha dichiarato al Telegraph, «non possono allattare al seno». Chiude l’Economist: «L’allattamento al seno da parte delle donne transgender può aiutarle a creare un legame con il bambino. Tuttavia, sarebbe prudente presumere, almeno fino a quando non ci saranno ulteriori prove scientifiche, che il loro latte potrebbe non avere i benefici nutrizionali del latte materno femminile. Se così fosse, l’evoluzione ne avrebbe probabilmente favorito l’uso qualche tempo fa». A dire: geneticamente l’uomo non allatta, conviene insistere?

Infine, che remano per l’annienta mento polemico della figura femminile sono ancora le “avanguardie” Lgbtq: nel linguaggio quotidiano del Guardian le donne sono diventate o “persone con utero” o “cisgender”, ovvero coloro la cui identità di genere corrisponde al genere e al sesso biologico alla nascita. Il problema non è di oggi: già nel 2020 la giornalista Suzanne Moore lasciò il giornale britannico perché le sue tesi vennero giudicate offensive per i trans: «Ogni qualvolta scrivevo che l’esperienza femminile appartenesse a persone con corpi femminili, la frase veniva cancellata in redazione», spiegò. Un femminismo senza corpi, senza donne. Adriana Cavarero, filosofa politica femminista, a tal proposito parla di protocolli della neolingua: l’asterisco o la schwa «neutralizzano la differenza sessuale» e per questo sono «la cancellazione del femminile: per una femminista è stupefacente, perché noi abbiamo lottato contro l’uso del maschile universale». Un nuovo complesso di Edipo, che distrugge l’immagine, la donna, che ha dato un’identità all’estetica trans. E la scrittrice femminista Julie Bindel ha aggiunto: «Siamo cresciuti in un patriarcato e abbiamo ancora enormi svantaggi. Finché non vedremo la fine di questa oppressione che subiamo, non possiamo permetterci di dire: “D’accordo, tu dici di essere una donna, quindi sei una donna” ». Come a dire: il nuovo vento femminista farebbe bene ad abbattersi, invece che sui maschi, sui transessuali. 

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