Giorgia Meloni, l'ultimo sfregio dei pro-Gaza: bruciate le foto del premier
Le manifestazioni degli antagonisti a sostegno della Palestina che si alternano nelle piazze italiane da mesi ora hanno fatto un salto di qualità. Ieri Torino sembrava davvero la Palestina. Collettivi, centri sociali, moschee, associazioni arabe, tutti in strada a supporto della causa palestinese. Quando il corteo è arrivato in piazza Castello sono state bruciate le gigantografie della premier Giorgia Meloni e del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Lo slogan dei promotori? “Intifada fino alla vittoria”.
E pensare che dovrebbero essere tutte iniziative per promuovere la fine della guerra, invece si rivelano veicoli per l’importazione di violenza e guerriglia anche lontani da Gaza. Non è un mistero che gli animatori, della sinistra radicale, siano gli stessi corteggiati ormai da tempo anche da quella parlamentare. Sempre ben nascosta dietro la parola “pace” e “cessate il fuoco”. A Bologna, per dire, Gianni Cuperlo (Pd) “ospite” del sindaco e compagno di partito Matteo Lepore, ha dato vita venerdì a Palazzo D’Accursio a una serie di cortei e convegni dal titolo “la parola pace, l’utopia che deve farsi realtà, il ruolo di Bologna”. Martedì sarà invece in programma l’evento “Bologna per il cessate il fuoco a Gaza”, dedicato a una “pace equa nella regione” e promosso dall’intergruppo composto dai consiglieri comunali della Lista Lepore, Pd e Coalizione Civica. Trai relatori, Omar Barghouti, cofondatore del movimento “Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS)” nei confronti di Israele. Del Comitato nazionale del movimento “non violento” fa parte anche il “Consiglio delle forze nazionali e islamiche per la Palestina”, composto, fra gli altri, da Hamas e da altri gruppi terroristici come Jihad islamica e Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Barghouti stesso, nelle interviste anche più recenti, non ha mai condannato esplicitamente Hamas. Su queste fondamenta, non si capisce bene come possa, il 23 febbraio, concludersi degnamente questa serie di eventi con la mobilitazione di piazza per il cessate il fuoco in Palestina e in Ucraina.
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Del resto, la posizione di una larga fetta del Pd sul tema è chiara, avvalorata anche in Parlamento dal dibattito a inizio settimana sulla mozione per chiedere il cessate il fuoco umanitario a Gaza. Il Pd, astenendosi, non ha votato per la conferma della solidarietà allo Stato d’Israele e la promozione di un processo di pace fondato sulla coesistenza di due Stati sovrani e democratici (hanno votato contro Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra). Dopo un compromesso con la maggioranza, ha invece votato l’assunzione di un impegno da parte del governo a sostenere una più generica “iniziativa volta alla liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani”, dopo aver provato ad inserire nel testo la richiesta, bocciata dalla maggioranza, di varare sanzioni contro i “coloni israeliani colpevoli di crimini verso la popolazione palestinese”. Bologna, comunque, è in qualche modo la città giusta per ospitare queste ambiguità, visto che è stata una delle città in cui gli antagonisti, tanto cari al sindaco, sono scesi in piazza il 27 gennaio, nella Giornata della Memoria, in un presidio non autorizzato per supportare “la resistenza palestinese”, contravvenendo alla richiesta del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a “rinviare” le manifestazioni per non avvelenare il giorno del ricordo delle vittime della Shoah. Lo stesso Lepore, in quelle stesse ore, venne redarguito dal presidente della comunità ebraica Daniele De Paz per essersi dileguato da Palazzo D’Accursio mentre Asher Colombo (Istituto Cattaneo) stava tenendo un discorso dal titolo “Giorno della Memoria e antisemitismo prima e dopo il 7 ottobre”. Alla fine dell’intervento di Colombo, poi, una parte della maggioranza gli negò l’applauso.