Beppe Sala, la confessione: "Ho paurissima della destra"
Svelato il mistero. I milanesi hanno finalmente capito cosa fa il sindaco Beppe Sala; anzi, perché non fa. È stanco. E poi, come confessa, nella vita già «ho fatto molto di più di quello che avrei potuto fare». «Per questo lavoro ci vuole un’energia psicofisica non indifferente» ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera. E lui ammette di dormire male, lo tormentano il dossier dello stadio San Siro, il rinnovo dei vertici della Scala, il contratto della polizia locale. Beghe comunali che lo sfiancano, povero lui, che riconosce di «avere voglia di fare politica», ma queste questioni metropolitane lo infastidiscono, non sono cosa da politologi, da pensatori del suo livello.
Sala fa il sindaco per fare un favore ai milanesi, e quindi un po’ di malavoglia, approccio che non riesce a nascondere quando parla della sua città con un distacco plateale. Lo fa con spirito da martire, per sbarrare la strada alle destre. «Temo che dopo sedici anni a sinistra, tra Pisapia e me», rivela, «la città voglia cambiare; mi tocca gestire bene il tempo da qui a fine mandato perché mi farebbe paurissima una visione di destra di chiusura, autonomia, confini in una città internazionale e aperta».
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Dimentica, il sindaco, di essere stato il city manager di Letizia Moratti, ai tempi in cui il centrodestra governava la città e l’ha progettata rendendola quello che è oggi, tra grattacieli, expo, passanti ferroviari e progetti di metropolitane che le giunte successive non hanno portato a termine. E le buche, le periferie, le baby gang, la maggioranza dei milanesi che non regge l’aumento vorticoso del costo della vita in città? Sala vola alto, come quando si fece fotografare sul tetto del Duomo con le frecce tricolori dietro. Lui quando si apre alla stampa non ama toccare argomenti di sua competenza. Vuol ragionare di grandi scenari, delle sue chiacchierate con Prodi sulla «mancanza di aggressività del Pd, che pare non abbia voglia di vincere, non si prende i rischi e pensa solo a dire la cosa giusta per assecondare il proprio elettorato». Perbacco, ha ragione; forse il problema dei milanesi è solo che il loro sindaco ha sbagliato lavoro, avrebbe dovuto candidarsi in Parlamento, non a Palazzo Marino, dove gli tocca trattare sugli assessori, i direttori dei teatri, questioni che lo infastidiscono e lo costringono a cercare relax nella progettazione di nuove piste ciclabili che nessuno lo ha mai visto percorrere.
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Ma gratta-gratta, si capisce cosa infastidisce il sindaco. Come, lui formalmente governa la città più all’avanguardia d’Italia, «il luogo dove si sviluppa l’energia imprenditoriale e culturale» e la Meloni non è mai salita a baciargli la pantofola? «Eppure gliel’ho chiesto più volte». Niente, solo Abodi, Piantedosi e Sangiuliano lo considerano. In più c’è quella maledetta autonomia che dà poteri alle regioni ma «ignora le città». Lui giustamente pretende che ci sia una sola legge nazionale sul fine vita, e critica Bonaccini che, in vacanza del Parlamento, ne vuole fare una regionale. Ma poi si infastidisce se, quando lui si sostituisce al legislatore e trascrive i matrimoni omosessuali, il tribunale gli tira le orecchie e glieli annulla perché lo Stato non li consente. Perché lui vuole tappare i buchi della nazione, non quelli delle strade metropolitane. E il terzo mandato, caso mai la Lega riuscisse a far passare la legge? È stanco, il sindaco, e tra tre anni lo sarà ancora di più ma, confida, «tutto può essere». Certo sarebbero sedici anni. Una maratona. E allora ecco che sta facendo Sala, si sta riposando, trotterella per non restare senza fiato né gambe negli ultimi chilometri. Pazientate milanesi, e continuate a pedalare voi al posto del sindaco ciclista.
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