Paolo Crepet: "Io, psichiatra provo a spiegare la sindrome Pd"
Il Pd: tutta un’ anatomia dell’irrequietezza, un florilegio di sogni sulla soglia del patologico. C’è la vibrata protesta contro la Rai lottizzata fatta a viale Mazzini dai dem strepitosi lottizzatori (e mentre tutta la Rai è a Sanremo); e c’è Andrea Orlando tutt’infiammato in Parlamento, che, sul caso Salis, grida al governo di solidarizzare troppo con Orban; e ci sono il fascismo, e il patriarcato, e l’evasione fiscale che dilagherebbe proprio nel giorno del recupero record dell’agenzia delle Entrate. Da un lato la realtà fattuale, dall’altro il suo simulacro. L’immaginario del Pd, anche a livello freudiano, possiede un suo indubitabile fascino. E qui entra in scena Paolo Crepet, sociologo e psichiatra di matrice basagliana, onde decrittare il frastagliato milieu democratico.
Caro professor Crepet, per il Pd, tecnicamente, qualcuno si spinge ad evocare la sindrome del “Maladaptive Day Dreaming”: l’idea di un mondo parallelo, di una dimensione alternativa «ricca di dettagli e sfumature tanto da diventare più intense della vita reale, la quale inevitabilmente subisce le conseguenze di questo sdoppiamento». Può essere tutto questo?
«Guardi, la sindrome della “fantasia compulsiva” (sogni così intensi e vividi da interferire con la vita quotidiana, Somer, 2002, ndr) può effettivamente adattarsi al Partito democratico. Esiste, di sicuro, uno spaesamento della segretaria Elly Schlein, dovuto a una serie di errori di comunicazione: dall’esordio su Vogue Italia al conclave nella Spa umbra, passando per la consulente armocromista, quando sarebbe stato più opportuno un consulente per il medioriente. Ma in fondo questo non è psichiatria».
"Andate in strada e vedete". Lo sfogo di Paolo Crepet: una società allo sbando?
Ah no?
«Bah, è, probabilmente, una tendenza al masochismo, a una pulsione autolesionista che, peraltro, fa parte della storia della sinistra; e lo dico da uomo che per famiglia e tradizione viene da quella dimensione».
Una sua collega, la psicoterapeuta Emma Cosma, si allarga di più nel giudizio. E cristallizza la presunta perdita dell’ «esame di realtà» del Pd in atti e dichiarazioni compiute «per non essere dissonanti a livello cognitivo, cosa dovuta forse a una perdita dell’elettorato popolare e un ossessivo rapporto con l’elettorato più borghese». E’ un’altra teoria interessante.
«Il Pd è chiaramente poco lucido. I suoi comportamenti sono contrassegnati da confusione: hanno protestato contro la Rai, in poco più di trecento, davanti a viale Mazzini, come se la tv di Stato fosse il liceo Tasso, quando l’intera Rai era a Sanremo. E, facendo tutto questo Barnum, non si sono accorti del Frecciarossa carico di giornalisti e politici che andava direttamente al Festival. Era un gol a porta vuota. Si nota una specie di ottundimento dei processi logici. Però, veda, per il Pd non parlerei esattamente psicopatologia...».
Forse lei si riferisce a chi parla di «pseudologia fantastica», a una forma assai elaborata di mitomania tipica di certi giornalisti, da Bel Ami in poi ma pure diffusissima tra i politici? «Neanche. Io parlerei più di “sventura” che si concreta in uno strano paradosso sociale. Per esempio, dopo aver sostenuto per anni la causa verde che più verde non si può, adesso si trovano sotto casa un “popolo verde” in rivolta contro il verde; gli agricoltori sono gli operai della terra, i loro trattori non sono mica i macchinoni di Briatore. E, ora, mi spieghi: può il Pd andare contro la classe operaia della terra pur di salvare la svolta green?».
Be’, in effetti, non ci avevo pensato. Cioè lei ci vedrebbe una forma di disturbo dissociativo?
«Ovvio che si configura una dissociazione, non sanno più che cosa fare, che posizione assumere. Prenda anche Israele e Palestina con tutti gli imbarazzi e distinguo che si impongono. Secondo me non ci dormono la notte...».
Al di là dell’aspetto clinico, il Pd reitera temi che non accettano confutazione: tipo la lottizzazione spietata a discapito del merito da parte del centrodestra. O le catene di Orban sulla Salis. O il patriarcato in ogni salsa. Per lei sono temi congrui al dibattito pubblico?
«Be’, rientrano nel legittimo dibattito. Ma direi che la lottizzazione sia normale in politica. Parliamoci chiaro. Cosa vuole che interessi a me, cittadino, se il teatro di Roma lo presiede uno di destra odi sinistra? L’importante è che porti risultati e che faccia il bene del cittadino. E, guardi, sulle altre nomine della cultura del passato, be’, stendiamo un velo pietoso. Chi non ha peccato scagli la prima pietra. Sul patriarcato, poi, si fondano le religioni monoteiste: il Pd ha un problema irrisolto con la sua parte cattolica».
C’è pure il fatto di imporre nella narrazione della cronaca, una sorta di autocensura quando si parla di stupri di immigrati (lo riconosce anche Gramellini sul Corriere).
«La violenza è un fenomeno che prescinde dall'immigrazione. Il problema, semmai è l'integrazione della seconda e terza generazione, il rischio sociale è lì. È statistico che gli immigrati di prima sono bravi e disponibili a lavorare, la seconda generazione mugugna, la terza spacca tutto». Qual è il suo rapporto con la politica, professore? «Molti politici sono stati e sono miei pazienti. Li ho di destra, centro e sinistra: una forma di democrazia clinica...».
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