Angelo Bonelli in fuga: "Pronto a tornare in Amazzonia", tremano gli indios
Immaginate la già precaria situazione degli indios Zo’e, una tribù di selvaggi che per migliaia di anni è riuscita a evitare ogni contatto con la civilizzazione. Poi qualcuno ha deciso di costruirgli un aeroporto proprio di fianco alla capanna e chi hanno visto scendere da uno dei velivoli? Angelo Bonelli, quello che dichiara non impiegare mai più di sessanta secondi per farsi una doccia. Si comprende facilmente perché la tribù si sia rapidamente spopolata negli ultimi anni. Ma non è finita qui.
In un’intervista pubblicata ieri dal Fatto, il leader dei verdi è tornato a parlare di alcune delle sue più intime passioni: l’amore bucolico (o camporella, per dirla più sensatamente alla Vanzina) e l’Amazzonia. Anche se non sembra, la prima questione c’entra molto con la carriera del leader ecologista: «La mia storia politica ha una radice estremamente romantica», spiega. E non osiamo sindacare sulla sua idea di romanticismo. «Amavo follemente una ragazza, ci incontravamo in un luogo cespuglioso appena dietro il mare di Ostia. Effusioni, passeggiate, felicità pura». Il nostro evita di entrare nei dettagli ma è come se ci avesse dato di gomito. Poi succede un fattaccio: «Un giorno vedo un cartello: qui sorgerà un palazzo». E così Bonelli, invece di arrendersi all’idea di incontrare la sua bella al chiuso, ha scelto di lottare per poter continuare a farlo all’aria aperta. Si giustifica ora l’amore per l’Amazzonia, dove gli incontri “in luoghi cespugliosi” sono sostanzialmente un obbligo.
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In sintesi: Bonelli dichiara voler tornare nella selva per la pensione o comunque per godere del meritato riposo dopo i tanti successi, dalla candidatura di Soumahoro all’indimenticabile seduta in cui si presentò con dei sassi rubati dal letto dell’Adige in mano per accusare il governo per la siccità. Un bell’assist per la Meloni, che replicò: «Mica l’ho prosciugato io il fiume, non sono Mosè». Carico di tutti questi ricordi, prenderà il primo volo: «L’Amazzonia è il mio orizzonte, il mio destino. Vorrei tornare da dove sono partito», dichiara nell’intervista. E il resto della storia la si scopre leggendo i vecchi scritti da attivista di Bonelli: «Gli Zo’è sono totalmente isolati e vivono alle stesse condizioni di come vivevano millenni fa. Per raggiungerli, dopo essere stati autorizzati dal governo brasiliano, si parte dall’aeroporto di Santarem e con un piccolo aereo a quattro posti, dopo un’ora e quaranta di volo in direzione Nord verso il confine con il Suriname, si atterra su una pista lunga non più di 500 metri».
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Qui si trovano questi poverini, «popolo dell’utopia possibile dove l’infelicità è sconosciuta e l’organizzazione gerarchica non esiste, un popolo che vive in totale armonia con la foresta». Certo, la descrizione del popolo povero e felice perché s’accontenta di poco è un filo ingenua. Anche perché i problemi ci sono, lo dice pure lui: «Il processo di occupazione e sfruttamento selvaggio del territorio amazzone ha sterminato la maggior parte della popolazione nativa della foresta. Diversi popoli indios impotenti di fronte alle invasioni, e resistendo con forza alla distruzione della foresta, si sono addentrati in aree remote della foresta amazzonica avviando un processo voluto e radicale di resistenza». E così ecco che arriva Bonelli a salvarli. O forse no. Perché va detto che c’è un altro piccolo nodo: «Nella metà degli anni 90 dopo i contatti, seppur intermittenti, con persone bianche gli Zo’è subirono forti epidemie: nel 1998 la popolazione indios si ridusse a 130 unità, mentre ora grazie ad un processo di recupero demografico contano una popolazione di 208 unità». Cioè sono proprio gli attivisti, i giramondo e gli esploratori come Bonelli che spesso portano le malattie agli indios. Ma non si ferma la passione...
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