Quella memoria condivisa che chissà se avremo mai
Caro Carioti, il chiasso che accompagna nel nostro Paese l’approssimarsi di ogni 25 aprile, e che quest’anno ha preceduto pure il 27 gennaio, mi induce a pensare che sarebbe meglio cancellare queste celebrazioni. Esse evidentemente non trovano consenso tra gli italiani, tranne che nel palazzo del Quirinale, dove non sono ammessi interventi di dissenso. È brutto constatarlo, ma è così. La Repubblica italiana nel 2000 istituì, 62 anni dopo la promulgazione delle leggi razziali, il «Giorno della Memoria», e quest’anno chi la governa ha tremato all’idea che sabato dilagassero manifestazioni contro Israele, accusato, dai palestinesi e da molti Paesi capeggiati dal Sud Africa, di genocidio nei confronti degli arabi (quello sono) che vivono nella striscia di Gaza e in Cisgiordania. Noi italiani cattolici, in fondo, siamo tutti un po’ antisemiti. Dopo l’8 settembre del ’43 molti dettero manforte ai nazisti nella caccia agli ebrei, qualcuno aiutò quegli sventurati, ma la gran parte si girò dall’altra parte... Eppure ben 350.000 giovani ebrei americani si arruolarono per venire a combattere e morire in Europa per liberarci dal nazi -fascismo. Ma vergognarsi un po’ no?
Alessandro Gentili
Caro signor Gentili, non frequentando i centri sociali e difendendo le istituzioni, ritengo giusto che lo Stato abbia le sue liturgie e celebrazioni, e nonostante l’espressione sia abusata credo sia importante «non dimenticare». Però è vero quello che scrive lei: certi momenti dovrebbero servire a costruire una memoria condivisa, il 25 aprile sulla liberazione dal nazi-fascismo, che non ci sarebbe stata senza il sangue versato dagli americani e dai partigiani non comunisti, e il 27 gennaio sullo sterminio degli ebrei, e dunque sul diritto dei sopravvissuti e dei loro discendenti ad avere una terra in cui dirsi sicuri. Inutile negarlo: siamo lontani dal riuscirci, la memoria condivisa non c’è. Cancellare quelle commemorazioni, però, darebbe il senso di una resa dello Stato a chi urla l’odio in piazza. Possiamo solo continuare così, quindi, perché l’alternativa è peggiore.