Elly Schlein, mezzo partito se ne va senza ascoltarla
Se Cristo s’è fermato ad Eboli, Elly s’è fermata a Gubbio. Certo, l’assenza è il modo migliore per farsi notare. Certo, un conclave dem che, più che per le presenze, brilla per le latitanze compresa quella della segretaria del partito; be’, possiede un suo fascino bastiancontrario. È come se, ai Meeting di Rimini organizzati da lui ai bei tempi celestiali, Roberto Formigoni fosse arrivato in ritardo perché non voleva perdersi l’anteprima dell’ultimo film di Nanni Moretti. Stona un po’, ecco. Epperò, non è questo a spiazzare la politica pre-elettorale del Nazareno trapiantato per due giorni nella selvaggia Umbria.
E non è neanche il fatto che Elly Schlein abbia preferito, la prima sera, disertare la seduta di psicanalisi collettiva dei suoi al resort eugubino di lusso Ai Cappuccini per gustarsi l’anteprima del Kripton di Francesco Munzi (sulla salute mentale, che «non ha ancora risposta adeguata», un po’ come il Pd). Anche se, il giorno dopo, ad onor del vero, la sua oretta di discorso motivazionale ai compagni esausti la segretaria se l’è fatta.
Meloni e Schlein, il lungo cammino della sinistra verso il baratro
ILLUSTRI LATITANZE
E ha trovato il tempo di criticare, in ordine sparso: la sua consigliera regionale veneta che ha fatto saltare la legge sul fine-vita; e l’Europa che manda le armi a Israele «perché vengono usate per crimini di guerra»; e la Meloni tout court. Infine, Elly ha preso la strada di Roma. Perché, con buona pace di Michela De Biase e di Chiara Braga, le organizzatrici franceschiniane e francescane al tempo stesso, be’, le cose serie si decidono a Roma. A rendere l’idea del flop oramai acclarato del raduno non sono state le poltrone vuote dei notabili: da Chiara Gribaudo a Lorenzo Guerini, da Paola De Micheli a Enrico Letta in trasferta- chi dice europea, chi americana- a Andrea Orlando che arriva tardi e va via presto.
Eccetera, eccetera.
E neanche stranizza troppo quella panoramica di sorrisi spenti, di sguardi retrattili, di sauna e massaggi termali sospesi come le speranze del campo largo. Non è servito neppure il tentativo di salvare, di questo meeting, lo spirito critico attraverso svariati panel, e convegni colti, e momenti molto di sinistra. Tipo quando la giornalista Francesca Mannocchi demoliva gli accordi con la Libia siglati al tempo del governo Gentiloni; o quando afferrava il microfono Laura Boldrini e le dava ragione. Mentre l’irritatissima politologa Nadia Urbinati, da New York, sosteneva che il Pd avesse perso le elezioni «perle vostre politiche di deregolamentazione del lavoro», qualunque cosa tutto ciò possa significare. Ma no. Non è qui, tra i filari umbri, che nasce il caos.
A scuotere l’unità del Partito democratico già incasinato di suo, ci ha pensato una lettera di 26 donne Pd che dall’Umbria trasformano i sussurri meditativi in silenzio atterrito; e che chiedono a Elly di non correre alle Europee, elencando le «molteplici conseguenze negative che questa ipotesi avrebbe sulle candidature femminili». Perle aspiranti eurodeputate, dicono, sarebbe «una mannaia». E ancora, evocano una scelta che «sembrerebbe rincorrere il leaderismo della destra di Giorgia Meloni». Tra le firmatarie spiccano l’ex capogruppo in Senato Simona Malpezzi (coordinatrice dell’area Bonaccini), la senatrice Valeria Valente e l’ex eurodeputata Silvia Costa. E il quadro per Elly diventa abbastanza chiaro.
URGE CANDIDATURA
Il partito è sull’orlo dell’usuale balcanizzazione. E la segretaria, al netto dell’attesa della decisione omologa di Giorgia Meloni, sarebbe sempre più propensa ad accettare le multicandidature. Per tre motivi essenziali. Primo: se non si candida lei e lo facessero suoi avversari interni e se costoro vincessero con molto seguito, be’, Elly, non essendo in posizione numerica di forza, potrebbe essere oggetto di pressioni e ricatti. Secondo: anche se Elly perdesse contro la Meloni, un buon risultato alle Europee le consentirebbe di rafforzare il mandato, e la costringerebbe a mettere nero su bianco scelte e un programma preciso non assoggettabile ai «ma/anche» di stampo veltroniano. Le Europee la preserverebbero dalle non-scelte che la stanno rendendo preda dell’opposizione interna che magari lavora per il ritorno di Gentiloni. Che è il terzo motivo. Schlein fa sapere che per cacciarla «devono cambiare lo statuto del Pd»; ma faccio sommessamente notare che è già successo, e l’ultima volta proprio con lei. Una candidatura frenerebbe le insidie fratricide. Renzi dice sempre che quando le cose nel Pd rischiano di saltare bisogna capire dov’è Franceschini. Be’, Franceschini, l’altro giorno, era con Renzi. Altro che conclave...
"Dobbiamo smetterla". Il disastro-Schlein: così scatena la rivolta nel Pd e nel governo